Un pasticcio con conseguenze che possono prolungarsi fino a Natale. Partendo dalla nomina, e dal conseguente scioglimento, del gruppo tecnico consultivo nazionale sulle vaccinazioni (Nitag) avvenuto in questi giorni, per arrivare alla legge di Bilancio, che sarà chiusa a dicembre.
Al ministero della Salute, la posizione del titolare, Orazio Schillaci, non è più salda come qualche settimana fa. Il caso del Nitag ha lasciato tossine difficili da smaltire, facendo addirittura presagire un cambio di guardia. In questo caso si aprirebbe il dilemma per Giorgia Meloni su chi piazzare al suo posto. Le ambizioni del sottosegretario Marcello Gemmato non sono un mistero negli ambienti governativi. Ma su di lui pesano le polemiche sui conflitti di interessi per la sua professione di farmacista.
Dall’inner circle di Schillaci professano ottimismo e respingono le voci di una rottura irreparabile. Ma se proprio le cose dovessero precipitare, il ministro avrebbe competenze per trovare subito una ricollocazione.
La scelta di sciogliere il Nitag per la presenza di Eugenio Serravalle e Paolo Bellavite (sotto accusa per le loro tesi sui vaccini), gli ha permesso di salvaguardare la reputazione. E un eventuale futuro lontano dalla politica.
Manovra pericolosa
L’aria tesa di questi giorni, però, è solo l’antipasto di quanto avverrà in autunno. Le prossime settimane si annunciano altrettanto movimentate. In ballo non ci sarà la composizione di un organismo consultivo, comunque secondario, ma le risorse economiche della manovra. Schillaci ha chiesto per la sanità almeno altri due miliardi di euro da destinare a nuove assunzioni. Altrimenti il settore va in affanno.
Già lo scorso anno l’ex rettore dell’Università di Tor Vergata ha dovuto accettare, suo malgrado, di non veder accolte tutte le richieste avanzate. Il suo obiettivo è una spesa sanitaria pari al 7 per cento del Pil, mentre oggi l’Italia si attesta al 6,3 per cento, mezzo punto in meno della media dell’Ue.
Nella legge di Bilancio di quest’anno vuole uno scatto in avanti decisivo. La prova di forza sullo scioglimento del Nitag rappresenta una rivendicazione di maggiore autonomia. La narrazione del ministro dimezzato, o addirittura commissariato, non gli va giù. Per questo rimarca il proprio profilo tecnico, per quanto d’area.
Il fronte della guerra interna diventa perciò la manovra: non accogliere le richieste del ministro della Salute equivarrebbe a un siluramento. Con tutte le conseguenze annesse di un governo che va in tilt sulla sanità. Un segnale pessimo dal punto di vista mediatico e un assist all’opposizione, che sulla sanità ha lanciato una campagna politica, oltre che uno sgarbo al capo dello Stato, Sergio Mattarella, che ha sempre apprezzato Schillaci. E soprattutto porterebbe Meloni a compiere un passo che non ama molto: cambiare la squadra in corsa.
Resta il fatto che alla presidenza del Consiglio hanno perso la pazienza nei confronti del ministro della Salute, che ha osato sfidare il sottosegretario, Giovanbattista Fazzolari. Fosse un’operazione indolore, lo avrebbero “dimissionato” volentieri. Il consigliere principe di Meloni aveva suggerito di congelare la questione del Nitag e riprenderla al rientro della pausa estiva. Anche perché dentro FdI c’è una certa accondiscendenza verso i No-vax, soprattutto sul tema dell’obbligatorietà vaccinale. Il gesto di Schillaci è sembrato quasi un affronto che ha provocato la reazione di Meloni in prima persona.
E se sulla manovra potrebbe essere trovato un punto di equilibrio, sull’Agenas è pronta la ripicca della premier: l’agenzia per i servizi sanitari regionali è stata commissariata di recente con Amedeo Cicchetti. Tra qualche mese bisogna nominare un nuovo direttore. Schillaci vorrebbe Marco Mattei, attuale capo di gabinetto al ministero (ed esponente di Fratelli d’Italia), ma intorno alla poltrona ci sono più appetiti.
Stefano Iannaccone


