Il Premier ed ex capo della BCE pronuncia in Senato un discorso i cui temi toccano i punti rivendicati o contestati dai singoli partiti della sua composita coalizione. Entro questa sera si saprà se il cammino potrà proseguire alla Camera
Draghi non tradisce le attese della vigilia: aveva lasciato intendere che non si sarebbe accontentato di una maggioranza numerica, e così è stato.
Il Premier – prima dimissionario e poi rinviato alle Camere da Mattarella – prendendo la parola questa mattina all’aula del Senato ha riaffermato l’esigenza, imprescindibile per lui, di poter tornare a disporre di una maggioranza politica, che esprima una fiducia non sul pallottoliere ma sul programma sorto per ottenere tutti i fondi del Pnrr e per fronteggiare vecchie e nuove emergenze: l’attuale esecutivo, nato per spendere i soldi del recovery plan (soldi in parte anche dei contribuenti italiani) e per accelerare a suon di vaccinazioni la ripartenza del Paese dopo la pandemia, si è ritrovato a inizio 2022 tra i venti incrociati dell’alta inflazione speculativa e dell’aggressione russa all’Ucraina, che hanno imposto da una parte di accelerare il programma originario, dall’altra di riadattarlo a scenari imprevedibili in termini militari, alimentari, energetici.
L’alternativa alla fine della maggioranza politica avviata a inizio 2021, dopo la caduta del precedente Conte 2, è altrettanto evidente: ritorno di Draghi al Quirinale per la conferma delle dimissioni, permanenza in carica per gli affari correnti e per quelli non rimandabili (compresi gli avanzamenti tecnici del piano nazionale di ripresa e resilienza necessari a non perdere i finanziamenti europei e incluso l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza a UE e NATO compreso quindi il sostegno all’Ucraina), fine anticipata della legislatura ed elezioni nell’inedito periodo d’autunno sullo sfondo di una pandemia cambiata rispetto alla prima ondata del 2020.
L’ex Banchiere centrale non ha rinunciato a inserire nel proprio discorso alcune venature patriottiche sull’orgoglio italiano, lasciando intendere un certo livello di inadeguatezza dei partiti presenti nel Parlamento in carica e facendo emergere dalle proprie parole la conseguente volontà personale di relazionarsi direttamente con i cittadini ai quali gli stessi partiti, artefici della crisi di governo, dovranno rendere conto alle successive consultazioni popolari, siano esse in ottobre o più in là.
Draghi ha ribadito, in risposta a Conte, l’importanza di proseguire nel riarmo dell’Ucraina al fine di difenderla dall’attacco russo, e di rivedere i meccanismi che hanno causato il cattivo funzionamento o in certi casi l’abuso delle misure di stampo grillino come il reddito di cittadinanza e il super eco bonus edilizio, nate come anti cicliche ma andate poi fuori controllo e rivelatesi inadatte a risolvere le storture di un mercato nazionale dove a mancare, da sempre, sono il salario di cittadinanza e la sicurezza del lavoro.
Poche le concessioni programmatiche alla componente di centrodestra (lega e forza Italia) – che dopo la scissione di Di Maio (il ministro oramai più “Draghiano” di tutti) dal movimento cinque stelle è quella maggioritaria nella (ex?) coalizione di unità nazionale -; tanto che alla conclusione dell’intervento di Draghi alla plenaria di palazzo Madama, i mancati applausi hanno riguardato non solo i senatori più vicini a Conte, ma anche il gruppo del partito di Salvini, quello ora numericamente prevalente all’interno della uscente maggioranza trasversale.
Numerose, viceversa, le argomentazioni più orientate verso il PD: partito, quest’ultimo, che dal governo Monti a tutt’oggi, ossia da fine 2011 ai giorni nostri, è stato in tutte le maggioranze di governo susseguitesi, tranne che in quella rossoverde del Conte 1 nella parentesi tra il 2018 e il 2019.
Spente le luci dell’aula, si accendono focolari, capannelli e caminetti: è da qui che si rigenererà quella forte coesione politica che l’ex Banchiere centrale di Francoforte ha posto come condizione per la propria permanenza a palazzo Chigi e come risposta da inviare non a lui ma agli Italiani, consapevole come egli è (e gli fa onore che lo abbia ammesso a differenza di molti altri prima di lui) del fatto di essere (l’ennesimo) Premier non designato da elezioni popolari? In attesa delle risposte che i nostri stessi connazionali si attendono, da Draghi così come da Conte prima e da Meloni eventualmente in un ravvicinato futuro, su salari, occupazione, pensioni, legalità, lotta al carovita e alla desertificazione industriale?
Dir. politico Alessandro ZORGNIOTTI




