Sarà anche finito nell’Altrove, la nuova “Chiesa” da lui fondata, ma Beppe Grillo non rinuncia a dire la sua sui temi di attualità. Nel corso dello spettacolo di martedì scorso al Teatro Colosseo di Torino, nell’ambito del suo nuovo tour Io sono il peggiore, il comico genovese è tornato a parlare degli avvenimenti che hanno portato alla nascita e conseguente caduta del governo Draghi, con il suo intervento (la “discesa a Roma”) che risultò decisivo a garantire l’appoggio del Movimento 5 Stelle all’esecutivo guidato dall’ex governatore della Bce
“Quel governo l’abbiamo fondato in tre – afferma Grillo – io, Draghi e Cingolani. Draghi mi ha tempestato di messaggi per convincermi, riempiendomi di lusinghe e alla fine ci sono cascato”.
La condizione necessaria per l’appoggio dei 5 Stelle, come noto, era la transizione ecologica e doveva per forza di cose passare dal “Superbonus”.
Il provvedimento, stando a quanto dichiarato dal garante dei pentastellati, sarebbe dovuto durare almeno quattro anni, per favorire la transizione ecologica e rilanciare il settore dell’edilizia messo in ginocchio dalla pandemia: “Doveva essere un processo graduale, dal 110% dei primi due anni si sarebbe passati poi a un bonus del 100% e infine del 90. In questo modo avremmo fatto una transizione vera”.
Le cose, però, hanno preso una piega diversa, forse a causa del mancato appoggio di Conte e dei 5S alla candidatura di Draghi alla presidenza della Repubblica: “Lui voleva a tutti i costi andare al Quirinale, ma per noi era fondamentale che continuasse a fare quello che stava facendo e come capo dello Stato abbiamo proposto un nome di altissimo profilo come quello di Elisabetta Belloni. Mi chiamò addirittura Prodi per farci cambiare idea, mi disse che si poteva andare avanti anche con un altro premier”. Alla fine non la spuntò nessuno dei due: Draghi resta a Palazzo Chigi, Belloni al Dis e per il Quirinale si optò per la rielezione di Mattarella.
Ma a quel punto l’ex banchiere se la lega al dito e attacca le misure simbolo del M5S: “Poco dopo andò in Europa e in un discorso si scagliò contro il Reddito di cittadinanza e il Superbonus, e il risultato fu che le banche chiusero i rubinetti del credito”.
Le tensioni tra Draghi e il principale partito di maggioranza giungono così a un punto di non ritorno: “Ogni volta che qualche iniziativa del Movimento non gli andava chiamava me, perché con Conte non si parlano”, e da lì a poco si arriva alla mancata fiducia sul decreto Aiuti (contenente la contestatissima norma sull’inceneritore di Roma) che mise fine all’esperienza del governo Draghi.
Tra le righe delle parole del comico genovese si può leggere una conferma delle indiscrezioni, rivelate dal sociologo Domenico De Masi al Fatto, su una richiesta da parte del premier di rimuovere Conte dalla guida dei pentastellati, presentata a Grillo.
Ma alla fine quest’ultimo si schiererà dalla parte di Conte, appoggiando la decisione di rompere l’esperienza, suscitando il rammarico dei tanti iscritti che hanno seguito lo spettacolo: “Se non fossimo mai entrati in quel governo avremmo vinto le elezioni” mormora uno di loro in sala.
DAVIDE DEPASCALE



