Due anni fa, il #7ottobre, 1200 israeliani venivano uccisi barbaramente da Hamas. Oltre 250 civili innocenti venivano invece rapiti

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Alcuni di questi sono ancora ostaggio dei terroristi, e le loro famiglie si stanno battendo per chiederne il rilascio e avviare negoziati di pace.
Da quel giorno il governo guidato da Netanyahu ha sterminato un popolo che con Hamas non c’entra nulla. Sono stati uccisi oltre 60.000 civili, tra cui 20.000 bambini. Sono stati bombardati ospedali, scuole e campi profughi; sequestrati e incarcerati attivisti che arrivavano via mare portando medicine e aiuti.
In questi due anni l’umanità ha toccato uno dei punti più bassi della storia, e le immagini di quel massacro del 7 ottobre, così come quelle dei bambini di Gaza trucidati e morti di fame, resteranno per sempre nei nostri occhi.
E mentre saltava qualsiasi coordinata, la grande assente è stata proprio la diplomazia, perché non abbiamo visto né l’Europa né tantomeno l’Italia veramente impegnate a cercare la pace.
Anche gli organismi internazionali sono stati sviliti e mortificati, tanto che prima Netanyahu ha potuto definire l’Onu “una palude antisemita” e poi Trump addirittura accusarla di pronunciare di “parole vuote”.
Forse, però, la cosa più triste è vedere che c’è chi continua a estremizzare questo orrore, insinuando che se si condanna il 7 ottobre non si sta dalla parte del popolo palestinese, o che se si scende in piazza per chiedere di fermare il genocidio si è antisemiti.
Questa violenza verbale a tutti i livelli non è ciò che una tale tragedia richiede, e basterebbe ascoltare la voce di chi vive quell’orrore per rendersene conto.
#AyaAshour, una giovane attivista palestinese, ha scritto parole che esprimono benissimo la voglia di riscatto e di normalità di un intero popolo: “Voglio un futuro migliore, e non mi importa di Hamas, né di Israele, né dell’America, né dell’Europa… Voglio che smettano di usare il nostro sangue. Voglio dormire senza la paura di morire bruciata o colpita da razzi, o di svegliarmi alla notizia della perdita di qualcuno. Voglio dormire nel mio letto, nella mia stanza e nella mia città, che hanno distrutto”.