È il 15 settembre 2001, circuito del Lausitzring, Germania, campionato mondiale di Champ Car

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Una vettura in corsa si schianta a 250 chilometri orari contro la Reynard Honda di Alex Zanardi. Prima che Alex possa accorgersene, gli trancia via in un amen le due gambe, poi l’arrivo dell’elisoccorso, il cappellano che gli recita già l’estrema unzione, i sette arresti cardiaci, le 15 operazioni, le sei settimane di ricovero. Ma, alla fine, in qualche modo torna a casa. Vivo.
Sembra tutto finito, e invece è solo l’inizio.
La sua seconda vita sarà la più dura, massacrante, ricca e vincente di sempre. Non solo tornerà (e rivincerà) a bordo di una monoposto, ma Zanardi diventerà il paraciclista più forte di tutti i tempi, vincendo, tra il 2012 e il 2019, 16 ori, 7 argenti e 1 bronzo tra Olimpiadi e Mondiali, oltre a diventare un simbolo mondiale di forza e resistenza alla vita.
Una mattina, in una scuola di Roma, durante un incontro con gli studenti, un ragazzo si alza e gli chiede quale sia il suo rapporto con la paura. Alex ci pensa un po’ su, poi risponde. “È possibile che, se il fulmine mi è arrivato tra capo e collo una volta, mi colpisca nuovamente, ma rimanere a casa per evitare e scongiurare quest’ipotesi significherebbe smettere di vivere.”
Un giorno di giugno di cinque anni fa quel fulmine torna, lungo la strada provinciale che collega Pienza e San Quirico d’Orcia, sotto forma di un autotreno di sette tonnellate e di un autista incolpevole che lo vede spuntare all’ultimo momento.
Ancora quell’elisoccorso che si alza in volo, ancora un’operazione disperata, il chirurgo che gli ricostruisce la faccia pezzo per pezzo, gli ripulisce il cervello dalle ossa, poi la terapia intensiva, il coma farmacologico, l’Italia che si ferma.
Solo che questa volta è più lunga. Solo che questa volta è più dura. Alex lotta, combatte, brucia le tappe, comunica, ma ancora non parla.

Oggi, 23 ottobre, Alex Zanardi compie 59 anni in una fase della sua vita a cui proprio non ci aveva abituato: quella del silenzio, della riservatezza sua e della famiglia, com’è giusto che sia. Tutto quello che sappiamo è che sta vivendo un “lento e costante recupero”. È tutto quello che conta adesso. L’Alex uomo, prima del supereroe.
E il fatto di essere qui, in milioni, ad aspettarlo, in fondo, non ha a che fare con le vittorie, le imprese e neppure con quel fulmine, maledizione. Racconta l’uomo, la traccia profonda che ha lasciato in ognuno di noi. Che è e resta.
Allora buon compleanno Alex. Noi siamo qui.