Un dubbio, a suo modo perfino consolatorio: e se fosse un Melonicchio?
Le coincidenze sono una roba abbastanza misteriosa, ma di pronta presa e immediata comprensione; per cui se l’altro giorno non fosse morto San Giorgio Napolitano, ecco che l’altro ieri a Milano, ieri a Roma e in tutte le regioni attraverso un complesso giro di collegamenti, i Fratelli d’Italia si sarebbero orgogliosamente auto-celebrati in un tripudio di gloria cui era stato dato come titolo: “L’Italia vincente”, sottotitolo “Un anno di risultati”, sotto-sotto titolo “Come il governo Meloni sta facendo ripartire la Nazione”.
Ma poi, a causa della camera ardente, ma anche a partire dalle riflessioni di Jung sulle sincronie, tutto è stato annullato, forse rinviato, comunque si vedrà. Sennonché dell’evento, oltre ai manifesti (era previsto un buffet), è rimasto solo un trionfalistico dépliant dalla cui copertina, debitamente levigata e photoshoppata, si affaccia di profilo Giorgia Meloni che scruta l’orizzonte.
Ora, per quanto pubblicati a spese della collettività, questo genere di prodotti lasciano il tempo che trovano rivolgendosi a un pubblico troppo fedele e quindi di bocca buonissima. A occhio è difficile che servano a convincere qualche sprovveduto quando – si perdoni il pensiero magico, ma ci sono precedenti a riguardo – non portano jella.
A sfogliare le 32 misere paginette, sui presunti successi del governo traspare un’ansia di prestazione che in certi casi – il solito fisco “amico” e l’Italia che con il turismo “vola” – senz’altro rinvia ad analoghe brochure invano pubblicate da tanti altri governi. Se proprio occorre dire, l’unico tratto di distinzione si nota in un sovraccarico di enfasi e nella sciagurata grafica identitaria che supera i propri limiti dando vita a un formidabile forchettone su sfondo tricolore, in lode al sovranismo alimentare del ministro Lollobrigida, la cui immagine si sta insediando nell’immaginario con proverbiale allegria.
Ma nel complesso sono le solite cose, il solito fumo, le solite promesse, la solita fuffa, le solite chiacchiere o frescacce che dir si vogliano nel tempo del linguaggio sguaiato. Per cui, più che al Pericolo Nero o al sottile disegno di riscrivere la storia, a un anno dalla vittoria, piena e legittima, la sensazione, pure vissuta con un minimo senso di colpa, è di trovarsi di fronte all’ordinaria mediocrità di un governo di serie B che non solo lotta contro la retrocessione, ma chissà se ci arriva al fatidico maggio o giugno delle elezioni, a prescindere da Jung e dalle sue coincidenze.
Di qui il ragionevole sospetto del Melonicchio; governo che certamente e addirittura in buona fede si sforza di rendere l’Italia “vincente”, quando in verità – e purtroppo – l’Italia di oggi resta malinconica e rincitrullita; né la faranno vincere le consuete iperboliche balle – si pensi al Berlusconi del Contratto e al Renzi de #lavoltabuona – che gli strateghi della comunicazione impongono ai vari premier prima che il vento della realtà e i loro stessi catastrofici autolesionismi – oltre a Renzi e a Berlusconi, si pensi al Papeete di Salvini e a che cosa sono stati capaci di combinare i grillini – li spazzi via.
Non si capisce in nome di che cosa la sorte di Meloni dovrebbe essere diversa. Lei, poveretta, ce la sta mettendo tutta, tutti a dire Giorgia-Giorgia, ma non si penserà mica che basti una sola persona per governare questo Paese così complicato; e che per cambiare il corso della Storia basti mettere “epic story” come colonna sonora sui video. E infatti appare sola, stanca, ha le occhiaie, fuma troppo, non mostra più il quadernetto di appunti, fa le smorfie, il broncio, il battibecco, oppure ride eccessivamente dopo la sua battuta romanesca, ma al tempo stesso è stizzosa, pure cercando di controllare il suo stesso effetto “vene del collo”.
La retorica social ha il fiato corto, serve a gridare “io ci sono”, ma Meloni non riesce a dar voce al Paese, non parla a tutto il Paese, la logica della contrapposizione non l’aiuta. Familismo, vittimismo, sindrome dell’assedio; la premier non può non aver capito quanto è stato imprudente promuovere personaggi palesemente inadatti come La Russa o Santanchè. Sulla comunicazione – caso Sechi – le cose non funzionano, il governo è al rimorchio della cronaca, segno che ha smarrito l’agenda. Gli alleati si mettono di traverso. Sono tornati pure i “gufi” e gli “sciacalli”: sai che novità!
Per il resto cronologie e articolesse commemorative hanno buttato lì: flop immigrazione, ritardi Pnrr, isolamento in Europa, il Piano Mattei per aria, il Ponte sullo Stretto te lo raccomando, la manovra espansiva se la può sognare, le tasse vattelapesca, la giustizia è ancora da vedere. Restano il Mes, il Pos, i balneari, la benzina, i pasticci legislativi a tutto spiano. Il generale Vannacci, la difesa di Dio e il presidenzialismo vorrei-ma-non-posso completano il roseo paesaggio del Cambio d’Epoca: “Abbiamo scritto la storia, ora scriviamo il futuro” – e vabbè. Come al solito, tutto sembra già visto e già successo. Il Melonicchio tira a campare per non tirare le cuoia. Presto si farà una bella verifica per passare alla Fase 2.
Filippo Ceccarelli



