Ecco il pronto soccorso per i ricchi: a Bergamo paghi e salti la fila

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Dunque funziona cosi. Sei un cittadino benestante e hai un problema di salute magari non grave (o che non sembra grave), non hai un medico di base come altre centinaia di migliaia nel Belpaese in cui la sanità è diventata Cenerentola, al pronto soccorso più vicino ti assegneranno probabilmente un codice bianco o verde che tradotto significa ore ed ore di attesa

Allora che fai? Prendi l’auto e vai al pronto soccorso privato. Sborsi 149 euro (si noti il 9 come da consolidato marketing commerciale per evitare la cifra tonda) et voilà, ti comperi il diritto a una visita immediata. Se poi ti prescrivono esami di primo e secondo livello o strumentali, la cifra lievita a seconda della prestazione per arrivare fino a 500 euro.

Non siamo ancora nell’America dove ti chiedono la carta di credito prima dell’ingresso anche se sei su un lettino d’emergenza, ma a quel modello ci stiamo avviando a grandi passi. L’ultimo tabù a essere rotto è quello del pronto soccorso.

Succede in Lombardia, naturalmente, la Regione che da trent’anni ha spinto sul sistema misto pubblico-privato a tutto vantaggio del secondo, sotto la guida del destra-centro egemonizzato dalla Lega. Succede, più esattamente, al Policlinico San Marco di Zingonia, località famosa perché casa dell’Atalanta, di proprietà del gruppo San Donato.
UN NUOVO BUSINESS

La nuova via del business era stata aperta a maggio, solo tre mesi fa, a Brescia in un poliambulatorio, ben presto ha gemmato iniziative simili nel Milanese, sino ad approdare ora in un ospedale strutturato e convenzionato con la Regione.

Sino a ieri il pronto soccorso non era un’attività gradita dai privati perché poco o per nulla remunerativa, per questo delegata pressoché per intero al servizio sanitario nazionale, pagato con le tasse dei cittadini. Ora la situazione è completamente mutata proprio per lo sfascio della sanità pubblica, incapace di gestire una rete efficace di medicina territoriale, a partire dal livello più basso.

Alla vigilia della pandemia era stato Giancarlo Giorgetti, allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio, a lanciarsi in una spericolata e fallace analisi al meeting di Comunione e liberazione: «Nei prossimi cinque anni mancheranno 45 mila medici di base, ma chi va più dal medico di base senza offesa per i professionisti qui presenti? Nel mio piccolo paese vanno a farsi fare la ricetta medica, ma chi ha meno di 50 anni va su Internet e cerca lo specialista.

Il mondo in cui ci si fidava del medico è finito». Per parafrasare lo scrittore Mark Twain (il quale così commentò il suo necrologio su un giornale: «La notizia della mia morte è fortemente esagerata»), quel mondo giudicato finito non lo era affatto.