Purtroppo per lui Conte si trova a guidare il M5S che è il vero bersaglio del fuoco concentrico, nemico ma soprattutto amico, finalizzato a togliere di mezzo una volta per tutte tale incomprensibile anomalia della politica italiana. Un non previsto incidente della storia che dal 2018 ha rotto gli equilibri consolidati tra i partiti (e a molti anche gli zebedei).
Per comprendere appieno la ragione di tanto accanimento basterebbe dare ascolto a Matteo Renzi e Carlo Calenda (vasto programma) che profetizzano il dissolvimento del Movimento nelle politiche del 2023. Con la successiva spartizione delle relative spoglie elettorali nel nuovo Parlamento che, ricordiamolo, avrà un terzo di posti in meno (maledetti grillini).
A parte la stravagante ipotesi che ci siano frotte di elettori impazienti di correre tra le braccia di Cric e Croc (che insieme fanno meno punti della Salernitana) la suggestione di un’Italia senza i 5Stelle ricorda quel film degli anni ’60 nel quale un commissario di polizia di stanza in Sicilia copriva con la mano l’isola sulla carta geografica sognando così l’automatica fine dei suoi problemi.
E pure oggettivamente trumpiano, in conseguenza di quello scandalo Barr che come il rum Pampero appassiona gli avventori dei peggiori bar di Caracas. Il problema è che a furia di essere accusato, insultato, deriso (“Giuseppi, ah ah”), Conte conserva quasi tutto il gradimento accumulato da presidente del Consiglio. Mentre, malgrado l’autolesionismo compulsivo i maledetti 5Stelle viaggiano ancora nei sondaggi intorno a un miracoloso 15 per cento che permetterebbe loro di tornare, e in numero consistente, a rompere i coglioni anche nella prossima legislatura. Forse bisognerebbe provare col cianuro. O col polonio.
Antonio Padellaro



