L’ex Premier di palazzo Chigi ha appena consegnato alla Presidente Ursula von Der Leyen un documento molto voluminoso e articolato che passa in rassegna i singoli fattori alla base dei deficit strutturali, tecnologici e competitivi dell’Unione nel confronto con USA e Cina
Il capitolo energetico è uno di questi, e la sua soluzione è finora stata congelata dai veri incrociati del Nord nei confronti del Sud del Continente, tanto che – al netto del tema dell’industria militare – il progetto di “doppio piano Marshall” del già Presidente Italiano della BCE appare fin d’ora accantonato dalla gran parte dei Paesi “azionisti” di riferimento della UE. A partire da Francia e Germania alle prese con una forte crisi di consenso, senza precedenti, dei tradizionali partiti centristi di destra e di sinistra, e con il parallelo sfondamento dei movimenti populisti radicali ai due estremi del sistema politico che non permetterebbero di fare passare il principio della “mutualizzazione” del debito pubblico di nuova emissione
In principio fu il “price cap” del 2022: vale a dire, la fissazione di un livello tariffario ponderato volto a scoraggiare le importazioni di fonti fossili dalla Russia e a incentivare l’autoproduzione di energia termoelettrica in seno all’Unione. L’obiettivo venne raggiunto soltanto in parte, tanto che il nostro Continente è rimasto anche successivamente il meno competitivo nella scala dei costi dei fattori produttivi delle macro aree dirette concorrenti.
Adesso, nelle centinaia di pagine del dossier redatto da Mario Draghi, su incarico della Presidente Ursula von Der Leyen, la questione è riaffiorata sotto la terminologia del “prezzo fisso” comune.
Esso consisterebbe in una evoluzione netta dei provvedimenti parziali fin qui varati dalla Commissione di Bruxelles, quale compromesso fra i differenti punti di vista degli Stati aderenti, e con cui viene riconosciuta la possibilità di dichiarare aree di crisi dove autorizzare i Paesi interessati a deliberare soluzioni temporanee di contenimento degli oneri impropri eccessivi in bolletta rispetto alla media dell’Unione. Non esattamente la svolta auspicata, tanto che un simile meccanismo non dispone tuttora di una evidenza empirica della propria efficacia.
Il piano Draghi ambisce alla formazione di un valore unico fissato a livello comunitario, in maniera da incentivare l’integrazione delle reti di trasmissione e distribuzione e dei sistemi di generazione, accentuando il cammino della decarbonizzazione e l’aumento della quota rappresentata dalle fonti non fossili incluso il nucleare pulito di ultima generazione fondato sulla fusione. Con la conseguenza di poter creare “camere di compensazione e di mutua solidarietà” intra – continentale, indirizzando senza sovraccosti l’elettricità prodotta in eccedenza verso zone dove l’offerta è più carente per ragioni geo-climatiche o di dotazioni strutturali o impiantistiche.
La premessa di un prezzo unico, tuttavia, sarebbe quella di uniformare, sulla base di un Piano Marshall delle infrastrutture energetiche, le dotazioni dei sistemi generativi, trasmissivi e distributivi lungo tutta l’Europa comunitaria, scenario che rimane confinato a un orizzonte di medio periodo.
L’Italia, nel frattempo, potrebbe iniziare a muovere qualche primo incisivo passo nella direzione di un contenimento non solo sporadico o sussidiato delle tariffe: per esempio, rivedendo il meccanismo normativo di calcolo delle stesse, che restano basate sul maggiore peso specifico accordato alle fonti fossili, secondo criteri storici che prescindono dalla oramai acquisita prevalenza fattuale della quota delle fonti alternative. Una soluzione che avrebbe, inoltre, il vantaggio di non dover vincolare ulteriori risorse a copertura di bollette che rimangono alte per effetto di movimenti speculativi.
Dir politico Alessandro Zorgniotti



