Questo aspetto, unito all’esiguità dei casi, comporta una scarsa conoscenza della malattia. Di cui oggi, alla vigilia del congresso nazionale dell’Associazione Italiana per lo Studio del Fegato (Aisf) in programma a Roma, si parla per l’arrivo di un nuovo farmaco (bulevirtide) in grado di bloccare la replicazione del virus, ridurre il ricorso al trapianto e aumentare la sopravvivenza dei pazienti.
Epatite D: di cosa si tratta?
L’infezione provoca un’infiammazione cronica che genera la necrosi del tessuto. E le cellule epatiche vanno incontro a mutazioni genetiche, che alla fine determinano un clone cellulare che si espande fino a diventare epatocarcinoma». Se per l’Epatite B esistono trattamenti efficaci, finora non si è potuto dire altrettanto per la Delta. Inoltre, vi è il problema della rilevazione. Meno di 1 paziente su 2 con l’infezione da HBV viene infatti testato per la Delta. «Questo fa sì che vi sia un notevole sommerso e che le diagnosi siano spesso tardive», aggiunge Aghemo. Senza trascurare il rischio legato alla trasmissione del virus – per via parenterale e sessuale – tra coloro che non hanno la vaccinazione anti-HBV.


