Dopo gli allarmi iniziali, e le prossime iniziative che verranno assunte dall’ufficio di presidenza dell’associazione bancaria italiana ABI, è partito, come era da immaginarsi, il dialogo a distanza fra Governo e istituti di credito sul tema della delimitazione della efficacia, temporale e di base imponibile, del prelievo straordinario sugli utili in eccedenza racchiuso nel decreto Omnibus varato da palazzo Chigi a inizio settimana corrente
La vicenda è oramai nota a tutti: le scelte della BCE in fatto di rincari seriali ai tassi di riferimento ha accresciuto il costo del denaro su famiglie e imprese, e con esso le probabilità di un aumento non controllabile delle sofferenze, ossia delle rate di mutuo non rimborsate che si traducono, per le banche eroganti, in crediti prima incagliati e poi difficilmente esigibili.
Una questione, quest’ultima, della quale si è fatto portavoce lo stesso presidente di ABI Antonio Patuelli, che a più riprese ha sollecitato la politica e le istituzioni a intervenire in senso correttivo e migliorativo su regole divenute per molti aspetti rigide e non più adatte a uno scenario deteriorato dalle nuove emergenze globali prima sanitarie e ora belliche foriere di una “inflazione da guerra”.
Sebbene, a livello formale, i banchieri attendano la pubblicazione del decreto sulla Gazzetta ufficiale per leggerne il testo finale, gli emissari delle due parti, Governo e settore creditizio, sarebbero già al lavoro per migliorare lo schema del provvedimento nel senso di contenerne gli effetti indesiderati e collaterali suscettibili di gravare tanto sugli enti bancari quanto sulla già claudicante economia reale.
Una delle soluzioni sarebbe quella di agire sulla premialità, in modo da alleviare quegli istituti che deliberino incrementi sostanziali dei livelli remunerativi per i depositi e i conti correnti dove sono accantonati i risparmi delle famiglie produttrici e consumatrici. In tal modo, il margine di interesse, ossia il dislivello fra ricavi dall’applicazione di interessi su mutui e prestiti e costi dal riconoscimento di tassi di rendimento corrisposti alla clientela depositante, verrebbe a calare, e con esso la base imponibile colpita dal prelievo straordinario.
Un altro versante sul quale i tecnici stanno lavorando, con l’obiettivo di tranquillizzare i detentori di titoli azionari bancari, in particolare gli investitori istituzionali e industriali (basti pensare alle Fondazioni e ai fondi nazionali ed esteri partecipanti al capitale sociale degli istituti), consiste nella ulteriore limitazione e limatura degli importi assoluti dell’imposta massima che la banca dovrebbe versare all’erario statale, quale che sia il suo margine di interesse anche elevato. Sono state quindi innalzate, rispetto alla formulazione originaria che circolava, le percentuali di tolleranza delle variazioni in aumento del margine, da un esercizio all’altro, al di sotto delle quali non scatta il prelievo, e allo stesso tempo è stata portata ai minimi la percentuale decimale, lo 0,1, rapportata agli attivi bancari e che costituisce la soglia monetaria invalicabile di ammontare dell’imposta dovuta sugli utili eccedenti. In tal modo, dagli oltre 4 miliardi che erano stati ipotizzati ai sensi della versione più punitiva nei confronti delle banche, l’introito complessivo per il Governo dovrebbe calare a meno di tre miliardi di euro.
Il tributo sarà applicato con riferimento ai periodi di raffronto 2022-2021 e 2023-2022, e verrà versato in più rate, la prima delle quali entro il mese di giugno del 2024, un periodo molto delicato per il Governo Meloni dal punto di vista delle intense scadenze elettorali europee, regionali e comunali.
Un punto però deve essere alla fine precisato: anche nella formulazione più onerosa per i bilanci e i conti economici degli enti bancari, le entrate per il ministero delle finanze sarebbero state nettamente più basse di quelle che sono le effettive situazioni di disagio delle famiglie titolari di mutui casa nel nostro Paese.
Un sondaggio scientifico svolto dalla Fabi, la federazione sindacale dei lavoratori della categoria del credito, ha calcolato che, a oggi, le rate non versate dai nuclei familiari debitori ammontano a 15 miliardi, e di questi quasi sette miliardi fanno riferimento a prestiti concessi per l’acquisto della prima casa o abitazione principale.
Si evince da ciò che, al di là dello strumento fiscale da mettere a punto per riequilibrare il mercato e finalizzare la redditività a piani di sostegno mirati ai soggetti sociali in difficoltà – strumento che avrebbe dovuto essere il frutto non di un blitz di ferragosto bensì di una previa consultazione con le rappresentanze del settore in un contesto di mercati non in fibrillazione – sarà necessario al più presto recepire l’esortazione del presidente Patuelli e intervenire nel merito delle normative, nazionali e ancora di più europee e comunitarie, non più in linea con gli scenari modificati dagli eventi del 2020 e del 2022 e destinate a incidere negativamente sui bilanci e sulle capacità erogative delle banche e sul profilo di rischiosità dei correntisti e richiedenti mutuo.
Dir politico Alessandro ZORGNIOTTI




