Fed e Bce ancora più aggressive

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In settimana alcune dichiarazioni degli esponenti delle principali banche centrali hanno causato una pioggia di vendite sui titoli governativi e un deciso repricing sui tassi

Ha iniziato il numero della Fed, Powell, che ha usato toni ancora più aggressivi di quelli della scorsa settimana, dicendosi pronto ad alzare i tassi di interesse più velocemente (aumenti da 50 bp in una o più riunioni, se necessario) in base all’evoluzione dell’inflazione ed enfatizzando come la banca centrale USA sia in questo momento interamente focalizzata sul ripristinare la stabilità dei prezzi. Vi è stato spazio anche per l’ammissione di errori sulle stime dell’inflazione USA: senza giri di parole Powell ha detto che l’ipotesi secondo cui il picco sarebbe stato raggiunto nel corso del primo trimestre 2022 è letteralmente “andata in pezzi”.

Atteggiamenti molto simili sono stati riscontrati anche in Europa da parte di esponenti della Bce. Il governatore della Bundesbank Nagel ha ammonito sull’aumento dei rischi di un’azione troppo tardiva per contenere l’inflazione: secondo lui, è possibile aumentare i tassi già entro fine anno se il piano di acquisti dovesse essere interrotto nel terzo trimestre. Che stia prendendo sempre più piede l’idea di un ritiro della politica monetaria molto accomodante è anche confermato dalle parole del governatore della Banca di Francia, Villeroy: a suo avviso la Bce deve proseguire sul percorso di rientro degli stimoli e normalizzare la sua politica monetaria per ancorare le aspettative di inflazione.

Le curve sono sempre più vicine all’inversione (il 5-10 anni USA è più piatto del 2-10): la pendenza della curva prossima a zero non è normale, ma rappresenta un’anomalia sintomo di stress sui mercati.

Il dollaro è pertanto frenato nel suo apprezzamento (come invece dovrebbe essere alla luce dei piani di rialzi previsti) dalla possibilità che il rialzo dei tassi strozzi la crescita e la Fed non riesca a portare a termine il suo ciclo di inasprimento dei tassi.