Femminicidio a Capranica Prenestina: dietro una valigia abbandonata, il volto di una società che ignora i segnali

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Una valigia abbandonata lungo una strada di campagna. Dentro, il corpo senza vita di Ilaria Sula

Giovane, albanese, con una vita davanti. Il gesto è raccapricciante, ma anche tristemente emblematico: ogni dettaglio di questa tragedia parla di dominio, negazione, invisibilità.

Sul piano psicologico, questo caso riflette la spirale tipica delle relazioni abusanti: l’escalation silenziosa, il controllo affettivo, la manipolazione. È probabile che Ilaria abbia vissuto momenti di paura, ambivalenza e confusione prima dell’omicidio. Le vittime non sempre riescono a riconoscere la violenza, soprattutto quando questa si veste di premura, gelosia o finta attenzione.

Dal punto di vista vittimologico, ci troviamo davanti a un caso che evidenzia la mancanza di reti di protezione efficaci per le donne giovani e migranti. Le barriere linguistiche, culturali, sociali, unite alla solitudine emotiva, possono impedire alle vittime di chiedere aiuto o di riconoscere di trovarsi in pericolo. La storia di Ilaria impone a tutti – istituzioni, famiglie, scuola, media – di ascoltare di più e meglio.

Criminologicamente, il comportamento dell’autore, che conduce lui stesso le forze dell’ordine sul luogo del ritrovamento, è un atto ambivalente: tra senso di colpa, bisogno di protagonismo, e tentativo di attenuare la responsabilità. L’elemento simbolico della valigia – usata come contenitore e contenimento – riflette una dinamica classica nei femminicidi: annullare la donna quando non è più controllabile.

In qualità di psicologa, criminologa, vittimologa e Direttrice per i Diritti delle Donne della International Police Organization, credo sia necessario ribadire con forza che il femminicidio non è un raptus. È l’esito finale di un processo di dominio, spesso sottovalutato. E non può più essere affrontato solo a livello locale: servono politiche di prevenzione integrate e azioni coordinate su scala internazionale.

Parlare di Ilaria è un atto di responsabilità. Ma agire per tutte le Ilarie che oggi vivono nella paura è un dovere. Un dovere che ci chiama tutti, adesso.

Dott.ssa Klarida Rrapaj