Focus Usa: tra Powell e CPI

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Protagonisti della settimana sui mercati Usa (e non solo) sono stati il discorso di Powell e la pubblicazione dei dati sull’inflazione

Powell ha focalizzato l’attenzione non solo sul consueto rischio di inflazione ma anche sull’importanza che la crescita economica ed il mercato del lavoro non subiscano eccessivamente l’impatto di tassi così elevati e, di conseguenza, sulla necessità di non sbagliare il timing dell’allentamento monetario. Sul fronte opposto, tagliare troppo presto può far ripartire l’inflazione, facendo venir meno i progressi fatti fino ad ora.

Con un approccio data dependant, chiave di volta è quindi l’avere dei dati relativi alla crescita dei prezzi benigni che possano mostrare significativi miglioranti nel sentiero di discesa dell’inflazione. Tutto ciò non poteva che aumentare le attese per i giorni successivi e la pubblicazione del Cpi.

Il Cpi relativo al mese di giugno, pubblicato nella giornata di giovedì, ha portato alla luce un’inflazione inferiore alle attese: mese su mese è stata negativa a -0,1% (3% anno su anno) e anche la componente “core” è risultata sia inferiore alle stime che ai mesi precedenti, grazie ad un calo della componente servizi, nonostante questa rappresenti ancora l’elemento di maggior sostegno dei prezzi.

Un contributo negativo alla crescita dei prezzi è stato rappresentato in primis dalla componente energetica ma anche da quella relativa ai beni primari e agli affitti (shelter).

Anche la cosiddetta inflazione “supercore” (indicatore che esclude non solo i prezzi di alimentari ed energia ma anche la componente affitti e funge da termometro per componente servizi) ha confermato per il secondo mese il trend di discesa.

Il Cpi sembra, quindi, aver risposto al desiderio del presidente della Fed di vedere significativi miglioramenti nella discesa dell’inflazione, prima di iniziare l’allentamento monetario.

La reazione immediata dei mercati è stato un aumento delle probabilità relative ad un primo taglio dei tassi da parte della Fed nella riunione di settembre e di un easing più marcato nel corso del 2024, con gli operatori che sono tornati a scontare almeno due tagli entro la fine dell’anno: conseguentemente è partito il rally dei bond statunitensi con movimenti più ampi sulla parte breve della curva ma significativi anche sulle scadenze più lunghe.

Anche l’obbligazionario europeo ha seguito il movimento, seppur con fluttuazioni più contenute rispetto al mercato statunitense.

Il mix di atteggiamento più accomodante della politica monetaria statunitense unito a un’inflazione in continuo miglioramento sono elementi positivi che continuano a sostenere le attività di rischio e che in futuro potrebbero essere la chiave di volta per il mercato obbligazionario governativo i cui rendimenti, fino ad ora, sono stati deludenti.