Lo strumento di sostegno alle famiglie inquiline venne istituito nel 1998 dall’allora Governo di centrosinistra guidato da Massimo D’Alema, attraverso una legge di definitiva cancellazione del preesistente regime di equo-canone e con la quale vennero introdotti gli affitti concordati per bilanciare almeno in parte il disagio di coloro che non possono reggere i prezzi della locazione liberalizzata
Da allora a oggi, prima della decisione del Governo Meloni di non rifinanziare detto fondo, sono almeno altri quattro i casi in cui lo stesso incappò nella stessa sorte: con Mario Monti, con Enrico Letta, con Giuseppe Conte e con Mario Draghi.
Dal punto di vista tecnico, va detto, non è stata una cancellazione in senso giuridico; semplicemente, il nuovo corso dell’esecutivo di centrodestra, in carica dallo scorso ottobre, ha dato seguito confermativo a uno stato di previsione della spesa pluriennale del MIT, il ministero delle infrastrutture e dei trasporti oggi diretto dal leader leghista Matteo Salvini, che a quella specifica voce prevedeva l’assegnazione di zero virgola zero euro.
Dunque, in ogni successivo momento, al verificarsi di un aggravamento del disagio abitativo, nulla osta a che il fondo, nominalmente tuttora vigente ma nel concreto un salvadanaio vuoto, possa essere beneficiato da risorse reperite in modo sopraggiunto.
In linea con quanto comunque sta cominciando ad avvenire con i 660 milioni di euro che, attraverso un accordo tra palazzo Chigi e l’Unione Europea, sono stati deliberati dal nostro Consiglio dei Ministri per aumentare l’offerta e l’accessibilità economica di unità di alloggiamento indirizzate specificamente agli studenti universitari fuori sede: al fine di evitare che una tale forma di aiuto potesse essere classificata dalla Commissione di Bruxelles come una indebita ingerenza sul mercato delle locazioni – che secondo la UE dovrebbe essere lasciato libero di oscillare -, la soluzione individuata dal Ministro Raffaele Fitto e dalla collega, con delega all’Università, Anna Maria Bernini, prevede che lo stanziamento così individuato sia collocato nella missione del Pnrr relativa all’investimento nelle residenze universitarie.
Gli studenti delle università, autori da giorni della protesta delle tende, hanno richiamato l’attenzione dell’opinione pubblica e politica nazionale sulla questione del rincaro degli affitti residenziali soprattutto a Milano e nelle altre grandi città sedi di importanti insediamenti didattici di formazione superiore.
Così facendo, hanno rimesso al centro del dibattito un tema che, in verità, a coloro che hanno il compito di legiferare e amministrare in tema di Edilizia abitativa, dalle parti di Roma non interessa un granché. Il motivo di questa mancata attenzione è da rinvenire nelle stesse statistiche sulla composizione del mercato immobiliare italiano, una realtà del tutto differente da quelle che si rinvengono negli altri Paesi e nelle altre capitali e aree urbane dell’Unione Europea soprattutto a Nord: da noi, oltre il 70 per cento dei nuclei familiari è proprietario dell’abitazione in cui vive, mentre soltanto il 20 per cento abita l’appartamento che occupa in locazione, e una quota ancora più residuale è titolare di diritti di uso o di usufrutto.
Per queste ragioni, le politiche nazionali per la casa, tanto da destra quanto da sinistra, si sono nel tempo fossilizzate sul concetto di prima casa, come voce da gestire o alla stregua di una base imponibile capace di procurare minimo introiti sicuri ai bilanci statali e comunali, o al pari di un bene-diritto fondamentale della persona da incoraggiare con aiuti sui mutui bancari o come risparmio non tassabile.
Sta di fatto che le crisi economiche e finanziarie verificatesi dal 2001 in poi, e acuite dalla crisi dei debiti sovrani del 2011 e da quella pandemica e bellica degli ultimi tre anni, hanno creato sacche sempre più ampie di sofferenza tra le famiglie inquiline del segmento più benestante e anche tra i soggetti mutuatari per l’acquisto dell’abitazione principale. Tanto che oramai non esiste più una chiara distinzione di fatto tra queste due categorie sociali i cui redditi subiscono una sempre più alta incidenza del peso delle rate dell’affitto o del mutuo, nelle grandi e medie città superiore stabilmente al 35 e in alcuni casi al 50 per cento.
Nel mirino sono finiti provvedimenti come la cedolare secca sui redditi da locazione, in origine dedicati a contrastare la piaga degli affitti sommersi, o come gli sgravi fiscali introdotti dal Governo Renzi per favorire l’arrivo in Italia di nuovi soggetti persone fisiche residenti, titolari di imponibili da centinaia di migliaia di euro, tramite aliquote molto più basse delle corrispondenti medie ordinarie. Mentre in quest’ultimo caso si è contribuito a rendere non più sostenibile il mercato degli affitti a Milano, nel primo caso la cedolare secca ha finito con il beneficiare non soltanto i piccoli proprietari locatori di immobili non principali, ma altresì i grandi fondi patrimoniali che dispongono di numerose proprietà e che non hanno alcun interesse a calmierare il livello delle locazioni.
Tanto che alcuni sindacati di inquilini hanno proposto al Governo Meloni e al Ministro Salvini, a oggi senza esito positivo, di ricollocare il miliardo di euro, destinato ogni anno al finanziamento del regime della cedolare secca, per restituire liquidità al fondo per il sostegno alle locazioni e a quello, ancora distinto dal primo, per prevenire il rischio di sfratti derivanti da morosità incolpevole del nucleo inquilino in difficoltà.
È un dato di fatto, tuttavia e in definitiva, che il capitolo dell’emergenza abitativa può essere risolto soltanto con strumenti diversi dal pur importante ma assolutamente insufficiente – e non di rado distorsivo – fondo per gli affitti: aumentando l’offerta di alloggi di edilizia residenziale pubblica, attraverso il recupero di spazi pubblici o industriali oggi in disuso – grande occasione mancata in sede di stesura del Pnrr – sviluppando il cosiddetto housing sociale in collaborazione con il sistema delle fondazioni di origine bancaria e aumentando i fondi di garanzia presso le banche per le coppie giovani e adulte che vogliano acquisire la proprietà della prima casa; e decongestionando le aree metropolitane attraverso il decentramento di eventi, servizi amministrativi e servizi universitari in località diverse dai centri urbani di maggiori dimensioni. Sarebbe inoltre importante, e sembra che il governo Meloni con la Ministra Daniela Santanchè stia lavorando a ciò, regolamentare il fenomeno cosiddetto Airbnb, in forza del quale viene incentivata la tendenza a destinare un numero crescente di immobili abitativi all’applicazione di affitti giornalieri destinati a un pubblico di turisti e di congressisti.
Dir politico Alessandro ZORGNIOTTI




