FRANCIA E ITALIA, COSÌ VICINE COSÌ LONTANE?

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La nostra Premier Giorgia Meloni e il Presidente della Repubblica d’Oltralpe, Emmanuel Macron, hanno confermato che gli interessi binazionali convergono sulla visione del futuro patto europeo in tema di finanze pubbliche (che sia meno di stabilità e più di crescita), sul governo dell’immigrazione dall’Africa, tramite la presa in carico delle frontiere esterne da parte di Bruxelles, e naturalmente sul sostegno all’Ucraina contro l’aggressione russa fino a quando sarà necessario

Rimangono però divisioni in merito alla candidatura su chi dovrà ospitare l’Expo del 2030, poiché sebbene Roma possa contare sull’appoggio di Joseph Borrell e di una cinquantina di Nazioni a livello globale, questo non basterebbe a prevalere, almeno sul piano numerico, di fronte all’asse di patrocinio favorevole a Riyadh, e quindi all’opzione dell’Arabia Saudita – peraltro presente essa stessa ieri a Parigi per presentare la propria candidatura all’esposizione universale – verso la quale si presenta schierato lo stesso Macron.

D’altra parte, nel novero delle clausole che compongono il trattato del Quirinale che venne siglato a Roma – vigente ancora il Governo di Mario Draghi – dai Presidenti Sergio Mattarella e Macron, non viene stabilito un impegno congiunto a favore della designazione del grande evento dell’Expo nella nostra Caput mundi, quindi Parigi riserva a sé una sorta di libero arbitrio nella consapevolezza del fatto che non vi saranno conseguenze diplomatiche al di qua dell’arco alpino.

Anche sul fronte industriale, lo scenario attuale che investe i due Governi pare essere quello di un confronto più dialettico e competitivo che non dialogico e collaborativo. Lo dimostra, sebbene l’argomento non sia stato all’ordine del giorno – ma abbia costituito l’oggetto di una pluralità di richiami e inviti da parte del Ministro italiano Adolfo Urso nei confronti della famiglia Agnelli Elkann – la vicenda alquanto complessa di Stellantis, la multinazionale ex Fiat ed ex FCA nata dalla fusione con la Peugeot e che, per effetto di quest’ultima, ha finito con il ricomprendere nella propria compagine azionaria lo Stato francese con una quota rilevante superiore al 6 per cento del capitale sociale; il che fa del Governo parigino un socio industriale non silente ma assai ascoltato sui temi che riguardano il consolidamento delle fabbriche e della loro capacità produttiva in terra d’Oltralpe.

A differenza dell’Italia che, nonostante possa rivendicare storicamente, e ben prima dell’insediamento di Giorgia Meloni, impegni di bilancio sempre rilevanti a vantaggio della storica casa automobilistica torinese – tra incentivi alle rottamazioni e concessioni di cassa integrazione guadagni -, non ha mai pensato di proporre in contropartita un ingresso statale nel capitale della società di Agnelli Elkann quando essa era ancora basata nel vecchio quartier generale del Lingotto nel capoluogo piemontese.

Una opportunità in tal senso si sarebbe potuta realizzare alcune decine di anni fa, nella seconda parte degli anni Ottanta del secolo scorso, quando Alfa Romeo, allora nella galassia delle partecipazioni di Stato tramite IRI, istituto per la ricostruzione industriale, venne ceduta in blocco, anziché a Ford, alla Fiat allora guidata dal duo Gianni Agnelli – Cesare Romiti. Se si fosse adottato in allora il metodo francese, il Governo Italiano avrebbe potuto mantenere una quota di rilievo all’interno del capitale sociale della casa automobilistica torinese che oggi avrebbe permesso di giocare alla pari con l’esecutivo di Parigi nell’assemblea dei soci di Stellantis e dunque nel consiglio di amministrazione.

Così non è, e pertanto adesso è ripartito il dibattito sull’opportunità che – attraverso Cassa depositi e prestiti – palazzo Chigi, magari in alleanza e accordo con alcuni fondi azionisti, sottoscriva una partecipazione nella società oramai globale erede dei fasti del boom economico del made in Italy degli anni sessanta e ottanta del Novecento; ipotesi quest’ultima vista non favorevolmente dal Presidente della holding, John Elkann, erede di Agnelli.

Secondo alcuni analisti finanziari, in considerazione del valore di Borsa di Stellantis, accreditato di una valutazione corrispondente a 50 miliardi di euro, per poter entrare nel capitale in maniera paritetica con Parigi, il Governo Meloni dovrebbe sostenere un esborso di almeno tre miliardi.

Roma e Oltralpe rimangono competitivi, sempre rispetto alla partita della produzione veicolistica, anche nell’atteggiamento molto benevolo e accogliente dimostrato tanto da Giorgia Meloni quanto da Emmanuel Macron nei confronti di Elon Musk, leader della classifica mondiale delle persone più ricche al mondo e patron di Tesla, marchio tuttora non presente in Italia ma conteso altresì dai Francesi.