Poco meno di dieci milioni, secondo l’Istat. Un dato relativo al 2021, che con ogni probabilità contiene dunque anche quella quota in più di connazionali che ha iniziato a fumare durante i primi mesi della pandemia. O che ha ripreso l’abitudine, dopo averla abbandonata. Un’altra ripercussione negativa indotta dall’emergenza sanitaria, «visibile» anche nel frequente aumento di sigarette accese da chi ne era già un frequente consumatore. E che, in vista della Giornata mondiale contro il tabacco in programma come ogni anno il 31 maggio, pone un’ulteriore sfida al servizio sanitario. Potenziare i centri antifumo è ormai una necessità improcrastinabile, se si vuole evitare un eccesso di morti nei prossimi anni.
Fumo di sigaretta: come sono cambiate le abitudini durante il lockdown
Al contrario del trend decrescente registrato in media su scala globale, descritto in uno studio condotto dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) e apparso sulle colonne della rivista «eClinical Medicine», lungo lo Stivale la pandemia ha riacutizzato un’altra emergenza: quella del fumo di sigaretta.
A certificarlo, i dati di una ricerca pubblicata su «Tobacco Control». Gli autori – coordinati da Giuseppe Gorini, epidemiologo dell’Istituto per lo Studio, la Prevenzione e la Ricerca Oncologica di Firenze – sono giunti a questa conclusione dopo aver esaminato i risultati di un’indagine condotta online nel corso del lockdown dell’inverno 2020 coinvolgendo oltre seimila adulti di età compresa tra 18 e 74 anni. Indagando le variazioni nell’abitudine al fumo di sigaretta, gli autori hanno scoperto che quasi 1 su 10 degli intervistati aveva acceso la prima sigaretta durante il periodo di «clausura». O ne aveva risentito incrementando l’abitudine al fumo. A patire le conseguenze della pandemia, soprattutto le donne.


