Alla vigilia dell’arrivo delle bollette che rischiano di mettere in ginocchio o comunque in grave sofferenza milioni di famiglie e imprese, si moltiplicano e intensificano gli appelli dei partiti e delle coalizioni a Draghi affinché utilizzi i poteri costituzionali di straordinaria necessità e urgenza per intervenire contro i rincari tariffari
Il grande assente, però, si conferma ancora una volta Bruxelles con le sue istituzioni comunitarie, le quali avrebbero dovuto capitalizzare la dolorosa lezione del coronavirus per programmare fin dalle primissime gravi tensioni in Ucraina un forte ruolo continentale volto a fermare la speculazione, alla stessa maniera in cui venne arginata con riferimento a chi due anni fa cercò di speculare sulle carenze di DPI (guanti, mascherine) e di vaccini contro il COVID.
Nulla di tutto ciò è invece avvenuto a inizio di quest’anno, con la conseguenza che il mercato del gas è stato lasciato libero di fluttuare pressoché liberamente e che il prezzo di base all’importazione è stato successivamente spinto verso l’alto dal comportamento, rimasto senza vigilanza alcuna, di traders e agenti finanziari.
Sorge dunque spontaneo chiedersi come mai, nel novero delle sanzioni commerciali comminate alla federazione Russa di Putin, non si sia applicato fin da marzo il provvedimento cosiddetto di fissazione di un price cap, ossia di determinazione di un tetto massimo al livello del prezzo del gas naturale in arrivo da Mosca, in modo da spiazzare completamente e da neutralizzare l’intromissione delle componenti più inclini alla finanziarizzazione del settore energetico.
Forse la risposta a un simile quesito la si può trovare nell’atteggiamento di netta contrarietà del governo dei Paesi Bassi a qualsiasi decisione che imponga di togliere centralità alla borsa del gas di Amsterdam, ossia la piazza virtuale dove si formano le quotazioni che hanno portato a moltiplicare il prezzo unitario degli idrocarburi e a rendere non più sostenibili le bollette alle imprese i cui processi produttivi e lavorativi, dall’industria tradizionale di trasformazione ai pubblici esercizi, non possono assolutamente prescindere da un utilizzo massivo di energia termica ed elettrica.
Questo allora premesso, la definizione di un coordinato piano di risposta europeo al contenimento del prezzo finale del gas importato – dal quale deriva quasi la metà della elettricità prodotta – rimane un passaggio non eludibile a prescindere dalla formula che verrà messa in pratica: perché, diversamente, l’iniziativa dei singoli Stati, dipendenti dalle forniture esterne, avrà come effetto quello di deviare l’esportazione di gas verso altri Paesi di destinazione finale del vecchio Continente.
La sola alternativa, immediata, è quella che Bruxelles autorizzi gli Stati a varare degli scostamenti di bilancio garantiti da emissioni speciali di titoli obbligazionari emessi dalla Commissione UE sul modello mutualistico del Next generation EU o recovery plan così da stroncare in origine ogni movimento speculativo sullo spread e sul differenziale dei rendimenti dei titoli di Stato della zona Euro.
Sul fronte nazionale, il dimissionario Premier Draghi ha annunciato di poter mettere a disposizione, purché non si dia luogo a deficit aggiuntivo, da otto a dieci miliardi per attutire l’impatto delle bollette in arrivo soprattutto alle aziende, mentre sul capitolo delle famiglie – che sempre più numerose rischiano di incorrere in morosità e povertà energetica aggravando gli esborsi a carico di ciò che rimane dei ceti medi – palazzo Chigi preferisce per adesso non pronunciarsi.
Mentre sul piano strutturale gli ammodernamenti prospettati richiedono una necessaria gradualità – basti pensare alle autorizzazioni connesse al rigassificatore di Piombino così come anche alla messa in funzione degli impianti già programmati per la produzione energetica da fonti rinnovabili – nel breve e brevissimo termine le opzioni a cui si pensa, per evitare lo shock dei rincari di settembre, spaziano dalla rateizzazione e spalmatura temporale delle bollette a famiglie e imprese, alla sospensione e fiscalizzazione degli oneri non corrispondenti a consumi effettivi; dalla modifica dei criteri di calcolo della tariffa fino alla previsione di una separazione tra la componente del gas e quella delle energie rinnovabili, affinché su quest’ultima possano essere imposti dei prezzi amministrati a favore delle utenze domestiche e aziendali.
Sullo sfondo, rimane l’incognita dello strumento giuridico con cui il governo, quale azionista strategico delle maggiori società energetiche pubbliche – ENI ed Enel in particolare e anche municipalizzate locali – dovrebbe vincolare la totalità degli extra profitti, derivanti dalle oscillazioni speculative, a un fondo per l’abbattimento e la calmierazione delle bollette e tariffe al dettaglio: una partita che da sola vale alcune decine di miliardi.
Dir. politico alessandro ZORGNIOTTI




