L’editoriale social del Banchiere scrittore: chi oggi attacca sui mass media, si è fatto eleggere proprio in quel Senato che dieci anni fa avrebbe voluto abolire con un referendum costituzionale poi fallito
Inutile occultare la questione: nei giorni più recenti, a tenere banco è stata la vicenda del compenso del presidente del CNEL, utilizzata come veicolo per polemizzare rispetto alla non sufficiente riduzione del carico fiscale sui salari reali medio bassi.
Una vicenda ancora più paradossale, se si pensa – e qui un po’ di educazione istituzionale e finanziaria è un doveroso toccasana – che uno dei principali protagonisti della crociata contro Brunetta, ottimo ministro della pubblica amministrazione del governo Draghi peraltro appoggiato anche da Italia viva, è stato l’onorevole Matteo Renzi, parlamentare da due legislature proprio in quel Senato che egli avrebbe voluto abolire, come organismo elettivo e attuale doppione costosissimo della Camera dei Deputati, nel 2016 in occasione del referendum costituzionale poi bocciato dagli elettori alla fine di quell’anno.

Ma ciò non basta. Sono altri i casi eclatanti di quel populismo – che si chiamava qualunquismo in età degasperiana – che, con il dichiarato obiettivo di colpire i costi della politica individuali, ha finito con il moltiplicare i costi della politica collettivi delle complessive istituzioni. Un esempio su tutti è stata la riduzione del numero dei parlamentari di Camera e Senato, la quale ha favorito l’aumento dei centri di spesa di sottogoverno alle voci dei collaboratori, dei consiglieri e dei consulenti. Mentre a livello territoriale vi sono i Consigli regionali, organismi che dovrebbero programmare e legiferare nell’interesse delle comunità locali ma che si limitano a riunirsi per continue tribune politiche, per effettuare nomine e per aumentare le imposte addizionali come se quelle centrali non bastassero.

Solo l’onorevole Ugo La Malfa, storico leader azionista e del partito Repubblicano, si oppose alla creazione delle Regioni sottolineando, 50 anni fa, il rischio che le stesse avrebbero impoverito il ruolo dei Comuni e creato una ventina di piccoli Stati centralistici.

In tutto ciò, utilizzare il Presidente del CNEL come capro espiatorio e parafulmine, secondo la più caricaturale narrativa fantozziana, equivale a perpetuare quelle pulsioni populistiche le quali, ogni volta che hanno proclamato di ridurre i costi della politica, quelli veri, hanno finito con il moltiplicarli dallo Stato alle Regioni.
AZ


