GIORGETTI E MELONI NON SCALFISCONO L’ASSE PARIGI-BERLINO

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Si annuncia quasi impossibile la missione volta ad affermare un protagonismo Italiano nel contesto di una alleanza solida oltre ogni trattato siglato fra Roma e Parigi, così come fu quello stipulato fra Draghi e Macron e da poco entrato in vigore

Nulla da fare: i Governi affacciati sulla Senna e sul Reno scorrono da soli, e lo hanno dimostrato con assoluta chiarezza recandosi a Washington per il tramite dei propri Ministri economici negoziando direttamente con i delegati della amministrazione Biden le possibilità di estendere ai fornitori di tecnologie made in EU i sussidi dell’Ira, il famoso (o famigerato, visto da Bruxelles) inflaction reduction act. Quest’ultimo, il maxi piano da 370 miliardi di dollari finalizzato a rilocalizzare e ricostruire i distretti e le filiere manifatturiere americane per ricondurre a unità la “fabbrica America”.

Il ministro Giancarlo Giorgetti, mentre è in atto il Consiglio Europeo a Bruxelles, nel corso del punto con la stampa, svolto assieme alla presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni, non ha utilizzato perifrasi né arzigogoli per stigmatizzare certi unilateralismi di Macron e di Scholz, i quali non avrebbero informato palazzo Chigi dell’iniziativa compiuta oltre Atlantico per bussare alla porta della casa Bianca.

Il Governo di destra-centro è consapevole del fatto che di fondi sovrani non si parlerà sino alla conclusione delle vacanze estive, con l’aggravante di un contesto internazionale di grave incertezza a un anno oramai dallo scoppio della guerra russa in Ucraina che non accenna a diminuire di intensità belligerante.

Di fronte a ciò, la sola opzione su cui la commissione von der Leyen è o sarebbe disposta a negoziare con Roma è quella di una sorta di scambio fra un allentamento temporaneo del regime degli aiuti di Stato – sollecitato dalle cancellerie tedesche e francesi per poter continuare a negoziare politiche industriali autonome da posizioni di maggiore forza fiscale, anche nei rapporti, come abbiamo visto, con i grandi interlocutori atlantici e OCSE – e una maggiore flessibilità nell’utilizzo dei fondi del Pnrr e nella riassegnazione delle risorse comunitarie risalenti alle precedenti programmazioni pluriennali ma mai impiegate.

Il totale, corrispondente pertanto a somme già stanziate, ossia non a carattere addizionale, ammonterebbe a 350 miliardi di euro, una cifra non troppo diversa dall’Ira di Biden ma relativa a capitoli di spesa pregressi sui quali Bruxelles consentirebbe ai singoli Governi spazi di manovra più confacenti alle esigenze nazionali, che nel caso dell’Italia corrispondono per esempio all’imperativo di adeguare il Pnrr ai rincari delle materie prime al fine di evitare che i bandi delle varie opere pubbliche finiscano quasi tutti deserti per assenza di imprese candidate.

Nel breve termine, non esiste alcun accenno al progetto di istituzione di un fondo sovrano basato sul principio della mutualità del debito pubblico di nuova emissione con la garanzia sovranazionale della Commissione von der Leyen, al fine di scongiurare eccessive pressioni sui passivi dei Paesi UE più esposti sul piano del costo del servizio del debito (ovvero, interessi più ammortamenti dei bond).
Di uno strumento di politica industriale di area vasta continentale, che non si limiti a decentrare e frammentare ulteriormente gli scenari economici locali, ma consenta unità di strategie non solo fiscali ma pure normative per omogeneizzare i quadri di riferimento a beneficio di investitori strategici oggi viceversa più inclini a scegliere una localizzazione a stelle e strisce in virtù delle scelte unitarie e unificanti intraprese dalla amministrazione dei Democratici.

Senza considerare che un tale approccio non più viziato da logiche di confine o di campanile, potrebbe sortire effetti su ambiti oggi impensabili come la possibilità di imporre una tassazione di solidarietà sui mega profitti delle cosiddette compagnie big oil le quali, operando nel campo della produzione e commercializzazione di idrocarburi e carburanti, hanno conseguito utili in eccedenza a livello globale per duecento miliardi di dollari. E si è visto, con il governo Draghi, quanto sia difficile agire nazionalmente con autorità per conseguire un doveroso gettito erariale aggiuntivo da dedicare a famiglie e imprese pressate dall’alta inflazione importata.

Altro che sovranismo in salsa polacca o ungherese, ne serve disperatamente uno che faccia parlare l’Europa a una voce unica e senza balbuzie!

Dir politico Alessandro ZORGNIOTTI