Sarà che era a Copenhagen dove il riposo nel fine settimana è (ancora) sacro. Però Giorgia Meloni, quando se la prende con i sindacati che scioperano di venerdì “perché il weekend lungo e la rivoluzione non stanno insieme”, dimostra di non conoscere bene il Paese che amministra.
E che, da un pezzo, insieme alla Grecia è ai vertici delle classifiche europee dei lavoratori che non hanno turni standard dal lunedì al venerdì ma lavorano anche di sabato e domenica. Accade a un dipendente su tre (i dati sono di Eurostat, che li ha pubblicati lo scorso primo maggio) e al sessanta per cento degli autonomi. Al primo posto ci sono gli occupati del settore primario (agricoltura, allevamento, pesca) ma subito dopo c’è chi è impegnato nei servizi e nel commercio e poi giù a scendere fino ad arrivare ai lavoratori del settore “clericale”, che pure la Giorgia donna, madre, italiana e cristiana dovrebbe conoscere bene. Siamo al di sopra della media europea, che è attorno al venti per cento. E triplichiamo i numeri di Paesi come Ungheria, Polonia, Lituania dove il venerdì sera calano serrande e chiudono gli uffici.
La gente del weekend non fa lavori strani, è quella con cui noi e la premier abbiamo a che fare tutti i santi giorni. Ma forse lei non se n’è accorta.
Dunque, agevoliamo qui un elenco, colpevolmente non esaustivo, dei lavoratori che se scioperano di venerdì o di lunedì non fanno alcun weekend lungo. Per convenzione, tutti al maschile. Medici, rider, poliziotti, lavapiatti, infermieri, giornalisti, badanti, camerieri, autisti, addetti alle pulizie, vigili urbani, musicisti, camerieri, operatori socio-sanitari, camionisti, netturbini, cuochi, carabinieri, agricoltori, sindaci, centralinisti, magazzinieri, tecnici informatici, attori, militari, cuochi, commessi, ballerini, cassieri, fornai, receptionist, ferrovieri, deejay, piloti, hostess, facchini, guardie giurate, baristi, tassisti, portieri. Lavorano tutti anche se è sabato o domenica. Come le presidenti del Consiglio, sì (questa volta al femminile).


