Giorgia Meloni aveva promesso che avrebbe messo “la casa al centro”

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C’è una regola non scritta del melonismo: annunciare ogni tre mesi una rivoluzione, e farla evaporare puntualmente. È successo con le tasse, è successo con i salari, succede, puntuale come una bolletta aumentata, anche con la casa. Ricordate?

“Serve un grande Piano Casa nazionale”, parola di Giorgia Meloni, quando l’emergenza abitativa esplodeva sui giornali, nelle università, nei comuni costretti a dichiarare lo stato di necessità. Era il tempo delle dichiarazioni solenni: basta affitti da strozzinaggio, basta studenti costretti a vivere in garage, basta famiglie che spendono metà dello stipendio per una stanza. Poi è arrivata la manovra, il fatidico momento della verità. E come sempre, nella verità si cade: zero euro, zero misure, zero idee. Del Piano Casa è rimasto solo il titolo. Come quei cartelli dei cantieri eterni: “Qui sorgerà…”.

E sotto, da anni, solo erbacce. Intanto gli affitti nelle città turistiche superano il 50% del reddito familiare. Nelle grandi città gli aumenti annui arrivano al 3,9%, e non parliamo di attici a Piazza di Spagna, ma di bilocali con vista sul cortile del vicino. Ci sono 650 mila famiglie nelle liste per un alloggio popolare, come certifica l’Ance. E mentre la Presidente del Consiglio twitta menzogne, gli studenti si ammassano in camere che un tempo erano ripostigli. Il governo aveva promesso di “intervenire subito”, e infatti è intervenuto: cancellando bonus, ritardando fondi, ignorando il tema.

La montagna di annunci ha partorito il topolino del nessuna misura, nemmeno un segnale, nemmeno un euro. Per costruire i 50 mila alloggi che servirebbero, l’Osservatorio Conti Pubblici calcola che occorrerebbero 12,5 miliardi: meno di quanto si sta spendendo per inseguire propaganda e mance elettorali. Non ci sono tutti ok, ma qui non si vede nemmeno l’inizio. E allora la domanda è semplice: che fine ha fatto il Piano Casa?