La separazione delle carriere “rientra nel programma del governo ed è un nostro dovere portarla a compimento per ottemperare al mandato elettorale” e “non è una riforma punitiva della magistratura, figuriamoci“.
Così il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, intervenendo alla kermesse di Fratelli d’Italia Atreju a Roma, nel corso del panel ‘Separazione delle carriere: una riforma che l’Italia attende da trent’anni – La via italiana per una giustizia giusta, più efficiente e più efficace’. All’incontro presente anche l’opponente più duro di questa riforma, il presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati Giuseppe Santalucia.
“Suona non dico offensivo, ma bizzarro pensare che (la riforma costituzionale ndr.) sia punitiva della magistratura”, ha detto il ministro moderato da Davide Desario dell’AdnKronos. “Figuriamoci se una persona come me, che ha fatto il magistrato, vuole una riforma punitiva”, ha continuato assicurando che l’indipendenza della magistratura non è messa in discussione.
“Quanto all’indipendenza è scritto nella riforma costituzionale che anche il pubblico ministero, magistrato inquirente, avrà la stessa indipendenza e autonomia dell’organo giudicante e non è scritto in una legge ordinaria ma nella riforma costituzionale”, ha aggiunto Nordio, per il quale “la separazione delle carriere ha una ragion pura e una ragion pratica. Quella pratica è che rientrava nel programma del governo ed elettorale perché il popolo italiano ci ha dato la fiducia ed è nostro dovere portarla a compimento, un dovere politico e logico per ottemperare al mandato elettorale”.
“La magistratura – ha continuato Nordio – è e deve essere indipendente rispetto al sistema politico, ma deve essere indipendente anche rispetto a sé stessa, e questo non sempre avviene perché oggi la sezione disciplinare del Csm è costituita da persone che vengono elette dagli stessi magistrati, e questo crea un vincolo tra elettore ed eletto che dà una percezione di non parzialità”.
“Il magistrato più che apparire deve essere percepito come imparziale dai cittadini, non deve essere espressione delle cosiddette correnti, che sono essenziali per la dialettica interna e culturale e della magistratura, quando però degenerano come si è visto nello scandalo palamara, allora bisogna trovare un correttivo”, ha concluso il Guardasigilli.
“Lo dico con dolore: noi magistrati oggi abbiamo i 2/3 degli italiani che non si fidano di noi. La credibilità della magistratura è scesa sotto il 35%. Quando sono entrato in magistratura e conducevo le indagini sulle Br la nostra credibilità era superiore a quella della Chiesa cattolica. Ci sarà una ragione per la quale oggi i cittadini in noi non credono più”.



