GOLDEN POWER: MELONI E URSO FRENANO L’AVANZATA CINESE SULLE CYBER GOMME PIRELLI

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Il Ministro delle Imprese e del made in Italy: “La via della Seta? A oggi per l’Italia il bilancio commerciale è nettamente negativo”

Palazzo Chigi ha accolto parte dei rilievi dell’amministratore delegato Marco Tronchetti Provera, affidando a un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri una serie di raccomandazioni vincolanti nei confronti dell’azionista maggioritario espressione del Governo comunista di Pechino, che dal 2015 è parte rilevante del capitale sociale della celebre fabbrica milanese fondata da Leopoldo Pirelli.

La società cinese, emanazione della Sinochem, stava infatti per accrescere il proprio potere di governance all’interno di uno dei gioielli dell’industria e della tecnologia made in Italy nel settore delle gomme per autotrazione civile e commerciale, grazie a un più recente patto parasociale che avrebbe consentito agli emissari del Dragone asiatico di esprimere il futuro amministratore delegato.

Così non sarà: il provvedimento del governo Meloni, sulla base delle determinazioni assunte dal comitato tecnico di valutazione della Golden Power presso il dicastero delle imprese e del made in Italy diretto da Adolfo Urso, ha introdotto una sequenza di indicazioni obbligatorie ai fini della gestione strategica aziendale.

A partire dalla nomina del CEO, appunto, il quale dovrà scaturire dalla lista dei consiglieri di amministrazione redatta dal socio italiano della Spa Pirelli, vale a dire il soggetto giuridico Camfin facente capo a Tronchetti Provera: una prescrizione che costituisce a tutti gli effetti una modifica sostanziale delle pattuizioni parasociali a superiore tutela dell’interesse nazionale che ruota – è davvero il caso di dirlo fuori di metafora – intorno allo Smart cyber, un modello ultra avanzato di pneumatico che riassume la più innovativa e futuristica ricerca tecnologica del nostro Paese applicata alla raccolta e catalogazione dei dati relativi agli utenti della strada e allo stato delle infrastrutture percorse dai mezzi muniti di gomme Pirelli.

Un capitolo che palazzo Chigi giudica troppo importante per correre il rischio che molte informazioni iper sensibili possano essere acquisite, pressoché in automatico, dalla parte cinese.
Insomma, una via della Seta già molto discussa – e rispetto alla quale il Presidente americano Joe Biden ha più volte chiesto alla nostra Premier di smarcarsi non più rinnovando l’accordo Conte – Xi del 2019 – e che invece di arretrare stava accelerando verso Pechino con le gomme hi-tech sfornate da Milano.

Il decreto firmato da Giorgia Meloni, inoltre, obbliga Pirelli a istituire una direzione generale con deleghe e compiti precisi, al fine di rafforzare la catena di comando di parte italiana, e introduce il principio della maggioranza qualificata dei quattro quinti dei consiglieri di amministrazione assegnati in totale alla Pirelli, affinché il CEO espressione della cordata di Tronchetti Provera possa esercitare il potere di veto su deliberazioni suscettibili di incidere sulla disponibilità e sulla condivisione degli assetti costitutivi e fondanti – dalle reti energetiche a quelle digitali – dello storico Gruppo lombardo.

Il quale dovrà infine procedere alla creazione di una specifica divisione interna sui temi della sicurezza. Camfin, tramite il vicepresidente esecutivo Tronchetti, avrà infine titolo a scegliere al proprio interno le figure corrispondenti ai quadri dirigenziali destinati a servire la Spa Pirelli.

La ricetta del “meno divieti e più prescrizioni” (in attesa del terzo addendum del “più incentivi” che sarà demandato alla definitiva approvazione del nuovo testo unico di riforma delle agevolazioni alle imprese e della legge quadro sul made in Italy), viene così ribadita dal ministro Adolfo Urso come la linea guida del proprio Governo al fine di tutelare l’italianità del patrimonio industriale del Paese in maniera pragmatica e non ideologica, così da favorire l’arrivo nella nostra Penisola di investimenti e investitori non ostili.

L’onorevole Urso tiene a rimarcare che la Golden Power è stata utilizzata dodici volte, fissando indicazioni obbligatorie nei confronti di aziende investitrici non solo necessariamente di nazionalità russa o cinese, ma altresì di origine comunitaria, occidentale e atlantica nei cui confronti l’esecutivo di Giorgia Meloni ha ravvisato senza pregiudizio alcuno la necessità di chiarire determinate clausole al fine non di ostacolare i relativi progetti, tutt’altro, bensì esclusivamente di adeguarli alla salvaguardia di interessi nazionali su aspetti critici come brevetti, materie prime, condivisione dei dati.

Sempre da Urso è giunta una stoccata agli accordi siglati quattro anni fa dal primo Governo Conte con Pechino: “Il bilancio di quella intesa resta del tutto negativo, sebbene noi siamo stati il solo Paese del G7 a firmarne una simile con la Cina, e la prova di ciò sta nel saldo commerciale notevolmente peggiorato a sfavore dell’Italia”.

Dir politico Alessandro ZORGNIOTTI