Guardrail, tettoie e piste ciclabili solari: così le strade generano energia pulita

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Invece di continuare a occupare nuovi terreni per produrre energia, si comincia finalmente a guardare alle infrastrutture che abbiamo già. Strade, autostrade, guardrail, piste ciclabili. Superfici vaste e inutilizzate che potrebbero diventare spazi per il fotovoltaico. In diversi Paesi si stanno avviando progetti pilota per testare l’efficacia di queste soluzioni. Produrre energia pulita sfruttando quello che è già costruito, senza consumare altro suolo.

Secondo uno studio pubblicato nel 2024 da un gruppo internazionale di ricercatori, la copertura solare delle sole autostrade mondiali potrebbe generare circa 17,6 petawattora all’anno, una quantità di energia pari al 60% del fabbisogno elettrico globale. L’analisi è stata condotta simulando l’installazione di circa 52 miliardi di pannelli lungo 1,4 milioni di chilometri di strade asfaltate, e tiene conto di orientamento, irraggiamento solare e superficie disponibile. Secondo i ricercatori, un’infrastruttura di questo tipo porterebbe a una riduzione del 28% delle emissioni globali di CO₂ legate all’energia elettrica.

A livello pratico, diversi Paesi stanno sperimentando soluzioni concrete. Vediamone alcuni:

In Italia, il progetto sviluppato da Tecnalia, centro di ricerca con sede nei Paesi Baschi, e dall’impresa italiana Vita International ha introdotto un innovativo sistema di guardrail fotovoltaici. Le barriere, realizzate in materiali completamente riciclabili, integrano pannelli solari bifacciali leggermente inclinati verso l’alto. Oltre alla produzione di energia elettrica, queste strutture migliorano la sicurezza in caso di impatto. I moduli sono progettati per massimizzare l’assorbimento della luce e per isolare automaticamente le porzioni in ombra, mantenendo alto il rendimento globale. Ogni chilometro può generare fino a 25 MWh all’anno. Il primo tratto sperimentale è previsto su 100 metri lungo l’autostrada A4 tra Torino e Trieste, nell’ambito del progetto europeo LIAISON, che punta a rendere più sostenibili e circolari le infrastrutture di trasporto.

Nei Paesi Bassi, nel 2014 è stata inaugurata la SolaRoad, una pista ciclabile sperimentale che integra celle solari sotto una superficie trasparente e calpestabile. Realizzata a Krommenie, vicino ad Amsterdam, la pista era lunga inizialmente 70 metri e ha prodotto nei primi sei mesi circa 3.000 kWh, un rendimento superiore alle aspettative. Il progetto, promosso da enti pubblici e università olandesi, ha avuto però problemi di durabilità: il rivestimento protettivo tendeva a deteriorarsi, causando costi elevati di manutenzione. Nonostante ciò, l’esperimento ha aperto la strada a successive riflessioni su come utilizzare superfici urbane alternative per produrre energia. Dopo alcuni anni di test, il progetto è stato interrotto, ma ha lasciato un’eredità importante nel dibattito sull’integrazione tra mobilità leggera e fonti rinnovabili.

In Corea del Sud, lungo il tratto autostradale tra Daejeon e Sejong, è stata costruita una pista ciclabile al centro della carreggiata protetta da una tettoia di pannelli solari. Questa struttura produce energia fotovoltaica e allo stesso tempo protegge i ciclisti da pioggia e sole, dimostrando come infrastrutture multifunzionali possano ottimizzare l’uso dello spazio e rispondere a esigenze diverse. Il progetto, lungo 32 chilometri, ha attirato l’attenzione per l’efficienza e l’impatto positivo sull’ambiente urbano.

In Francia, la società Colas ha sperimentato la tecnologia Wattway, un sistema di pannelli solari incassati direttamente nell’asfalto. Una delle strade test, a Tourouvre-au-Perche, ha però mostrato limiti significativi: dopo pochi mesi di utilizzo, il rendimento era molto inferiore rispetto ai pannelli tradizionali e l’usura dovuta al traffico ha portato alla sospensione del progetto su larga scala. Lo stesso è accaduto nei Paesi Bassi con SolaRoad, una pista ciclabile solare costruita vicino ad Amsterdam. Nonostante i primi risultati positivi, con oltre 3.000 kWh generati nei primi sei mesi, i costi elevati e la manutenzione complessa hanno portato all’abbandono dell’iniziativa.