Håkan Nesser – Il caso G – Milano, T.E.A., 2016. 429 p. (245)

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Questo è il sesto, e forse ultimo, caso – nel quale se la vede brutta ma proprio brutta! – del commissario Van Veeteren, nel quale la mente sottilissima di un criminale lo prende in giro compiendo tre omicidi (uno nell’83, il secondo nel 1987, ed il terzo nel 2002) senza lasciargli possibilità di accusarlo e riuscendo, nel secondo episodio, ad essere anche prosciolto in tribunale

Dalle nostre parti si dice “cornutu e mazziato” (con le corna e percosso), ed è ciò che accade nei primi due omicidi: non solo le mogli, Philomena e Barbara, muoiono in circostanze molto sospette, ma lui incassa comunque ogni volta – non essendoci prove di colpevolezza – la cospicua assicurazione che aveva intestato alle consorti!

Insomma non solo i comuni lettori, anche un commissario che ne ha viste tante, con un’anima sensibile a queste cose, non riesce a digerire la sgradevole situazione, odiando l’assassino e facendo dell’arresto e della punizione quasi un fatto personale.

Anche un altro motivo, del remoto passato – in cui erano entrambi, il signor “G.” Jean Genser Hennan e Van Veeteren, studenti della stessa scuola – aggrava la situazione di disagio del commissario; Adam Bronstein, un loro compagno, seviziato ed avvolto in un tappeto ad opera di Hennan era morto soffocato in una palestra senza che lui, come gli altri compagni di piccoli bagordi, avesse avuto il coraggio di ribellarsi: poteva liberarlo ma fu plagiato: “… in fondo è lui che lo ha avvolto nel tappeto ed è lui il responsabile”.

Nel terzo omicidio – sempre supposto ed evidente ma mai comprovato – viene ucciso, nel 2002, l’ex poliziotto di un’agenzia privata in male arnese, Verlangen, che indagava nell’87 sul signor “G” su incarico della moglie Barbara. Proprio lui, Verlangen, suo malgrado, lo aveva scagionato perché all’ora della morte di Barbara era a bere con lui allo stesso tavolo, nello stesso bar, mentre la moglie “cadeva” o “si suicidava” gettandosi dal trampolino nella piscina della villa, svuotata per la consueta pulizia.

Tutto scorre quindi negli anni senza colpevoli; le passioni umane e gli istinti più bassi ed infimi di alcuni sembrano prevalere sul senso di giustizia e di meritata punizione per uno o più assassini.

Nella primavera del 2002, poi, la figlia di Verlangen si presenta in commissariato facendo presente a chi indaga che il padre è scomparso. Non solo, il padre ha lasciato anche un biglietto/messaggio criptico in cui afferma di aver trovato le prove per incastrare il signor “G.”.

Ma quando si ritrova il suo cadavere, quel breve bagliore di luce si spegne ancora lasciando la scena al buio e gli inquirenti con un pugno di mosche in mano.

Ma piccole cose, piccole indizi, vengono lasciati sempre dagli assassini anche quando tutto sembra scontato: basta sapere indagare e saperli trovare… come fa il nostro commissario, rischiando veramente la vita in questa ultima indagine.

La lettura è scorrevole salvo, forse, il “cincischiare un po’ troppo” del suo autore in alcuni capitoli che disperdono in fiumiciattoli il bel Fiume azzurro del romanzo.

Ed infine un avvertimento al lettore: non pensate che tutto ciò che appare sia vero; non credete ad un certo punto di aver capito come è andata e, infine, non supponete che in fondo era prevedibile quanto scoprirete: non è così!

Solo a pagina 390 si illumina e si apre la scena, facendo intravedere una verità ben tenuta nascosta e dovete leggere tutte le rimanenti 30 pagine per capire quasi tutto.

franco cortese

Franco Cortese Notizie in un click