Chi si aspettava una schiarita o una conferma dello scenario dai tanto attesi numeri sull’inflazione americana è rimasto deluso: il dato non ha risolto per nulla il dibattito fra rialzisti e non sui tassi di interesse, ovvero sulle future scelte della Fed
La pubblicazione dell’inflazione ha mostrato un rallentamento inferiore alle attese che potrebbe spingere la banca centrale a proseguire o addirittura aumentare il ritmo di rialzo dei tassi. Il dato sull’inflazione Usa ha portato l’immediata conseguenza di un riprezzamento dei Treasury che ora scontano rialzi dei tassi Fed in area 5.25%-5.5%, con un radicale cambio delle aspettative di politica monetaria. In appena due settimane il target dei Fed Funds è passato da 4.90% a 5.25% e soprattutto il livello indicato a fine anno è passato da 4.40% a 5.05%, per una salita di oltre 60 bp.
A gettare benzina sul fuoco ci hanno poi pensato i dati sulle vendite al dettaglio: la crescita registrata del 3% su base mensile in gennaio (ben superiore alle attese) ha smentito le previsioni di chi si attendeva consumi indeboliti dalle manovre restrittive della Fed (i tassi a breve incidono, ad esempio, sul credito al consumo).
Questo dato inaspettatamente robusto nonostante l’impatto dell’aumento del costo del denaro sui consumatori alimenta la speranza che questa parte rilevantissima dell’economia Usa stia resistendo alle avvisaglie di una possibile recessione. L’altro lato (negativo) della medaglia però è che una domanda in salute potrebbe spingere ulteriormente l’inflazione e di conseguenza convincere la Fed nel proseguire la stretta sui tassi più a lungo del previsto o a ritmi più alti.
Mettendo insieme il mercato del lavoro USA, l’ISM dei servizi e poi CPI e vendite al dettaglio resta innegabile che l’inizio dell’anno ha mostrato segni di ripresa dell’economia americana, smorzando la sensazione e il consensus diffuso di indebolimento (o imminente recessione) che si respirava alla fine del 2022.
La conseguenza di questa sequenza di dati robusti è stato un significativo repricing dei rendimenti su entrambe le sponde dell’Atlantico, e un cedimento, sul finire della settimana, dell’azionario, che in una prima fase sembrava aver fatto orecchie da mercante alla forza dei dati ma che ha finito per seguire i bond nella discesa.



