I duchi sdraiati

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Ora che Spotify ha licenziato Harry e Meghan e che persino i più famosi agenti di Hollywood riconoscono che quei due sono dei «fottuti imbroglioni» capaci di fare solo le vittime incomprese, possibilmente però a bordo piscina sorseggiando un aperitivo, si ripropone la domanda: come mai ci siamo cascati? 

E non dite «gli altri, io no», perché la storia dell’orfano mobbizzato dalla famiglia reale e della ragazza del popolo perseguitata per il suo anticonformismo e per il colore della pelle si era guadagnata l’attenzione e il fatturato dell’universo mondo.

Adesso è facile sorridere di Harry il velleitario che si propone per intervistare Putin sui suoi traumi infantili o di Meghan che cerca di imbucarsi alle feste di famosi a cui non è più invitata. Ma quei mostri di cartapesta li abbiamo creati in tanti: un po’ perché la monarchia inglese trasforma in gossip bulimico tutto ciò che sfiora, e molto perché Harry e Meghan incarnano i simboli perfetti di un tempo che tende a divinizzare la mediocrità. Oggi i modelli di riferimento non sono più l’astronauta, lo scienziato o la rockstar, figure ricoperte da una nuvola di scetticismo, quando non di aperta ostilità. Oggi è l’influencer che parla di sé tra sé e sé, purché in termini esaltati o compassionevoli: nulla propizia l’identificazione altrui come il dichiararsi al centro di un complotto.

Il problema dei duchi fannulloni è che anche il mestiere di vittima è un lavoro e, come tale, richiede fatica. Altrimenti la fama muore di noia.

Massimo Gramellini