Il 2025 si sta rivelando un anno critico per la filiera globale del caffè. Il Brasile, primo produttore mondiale di caffè, è stato colpito da una crisi agricola senza precedenti. La prolungata assenza di piogge in regioni storiche come Minas Gerais, Sao Paulo e Alta Mogiana, unita a picchi di calore anomali, ha compromesso la produzione a tal punto che in molte piantagioni il raccolto è crollato fino al 60-70%.
Effetto domino
Ad inizio anno i futures (contratti negoziabili che si riferiscono all’acquisto o alla vendita di un’attività sottostante) sull’arabica hanno superato i 4,40 dollari per libbra, un livello che non si vedeva dal 2011. Nel giro di pochi mesi, le esportazioni globali sono scese del 14% (dai dati dell’International Coffee Organization), le scorte si sono praticamente esaurite e i prezzi, per torrefattori e caffetterie, sono schizzati alle stelle.
Oltre il 20% dei chicchi raccolti non raggiunge più gli standard qualitativi abituali. I costi per i produttori sono aumentati a causa dell’adozione di sistemi di irrigazione d’emergenza, mentre il rafforzamento del real brasiliano (valuta del Brasile) e l’aumento dei costi di trasporto ed energia, hanno ulteriormente gonfiato i prezzi. In diverse regioni del sud-est sono avvenuti episodi di furto organizzato di caffè verde. La situazione è diventata talmente grave che molti produttori hanno iniziato a sorvegliare le proprietà.
La situazione in Italia
In questo scenario, anche in Italia iniziano a vedersi i primi segnali concreti dell’impatto di questa crisi. A Roma, la caffetteria Faro – Caffè Specialty, da sempre attenta alla trasparenza e alla qualità della materia prima, ha affisso un cartello che spiega in modo chiaro ai clienti la necessità di unificare i prezzi del bancone con quelli del tavolo. Una scelta motivata non solo dai rincari, ma anche dalla volontà di mantenere uno standard alto lungo tutta la filiera.



