Il PD, prima vota in direzione, in commissione, in Consiglio dei Ministri e nelle Aule parlamentari il Jobs Act, poi raccoglie le firme per chiedere un Referendum per la sua abolizione.
Pierluigi Bersani, come del resto tutti gli altri, prima vota a favore del Jobs Act, poi va a firmare nei gazebo per la sua abolizione.
Si è giustificato con queste parole: “Voterò le parti che mi convincono con piacere e convinzione e le parti su cui non sono d’accordo per disciplina, avendo fatto per quattro anni il segretario del Pd”.
Troppo facile votare per disciplina.
I parlamentari sono liberi e svincolati da qualsiasi mandato proprio per sentirsi liberi secondo coscienza.
Difatti, così dispone l’art. 67 della Costituzione: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”.
Il vincolo di mandato non è solo quello verso i suoi elettori ma anche verso il partito di appartenenza.
La Corte Costituzionale, da decenni, ha liberato i parlamentari da eventuali lacci e lacciuoli del partito con la storica sentenza n. 14 del 1964, accettata da tutta la migliore dottrina: “… importa che il parlamentare è libero di votare secondo gli indirizzi del suo partito ma è anche libero di sottrarsene; nessuna norma potrebbe legittimamente disporre che derivino conseguenze a carico del parlamentare per il fatto che egli abbia votato contro le direttive del partito”.
Quando la Corte Costituzionale scrive “nessuna norma potrebbe legittimamente disporre che derivino conseguenze”, vuol dire che qualsiasi normativa interna o provvedimento disciplinare contro un parlamentare, che voti in senso contrario alla direttiva del partito, sarebbero del tutto incostituzionali e, quindi, illegittimi.
Stefano Rossi


