Il #conflittodiinteressi che investe la essenza stessa della #democrazia è quello che è consistito per anni nella presenza in Parlamento di un ex Presidente del Consiglio che deteneva e detiene tre TV private con cui informa a suo modo ogni giorno i cittadini su ogni affare pubblico e privato che lo riguarda, circostanza che gli concede enormi vantaggi nelle competizioni elettorali. Questo scempio è stato possibile grazie all’inerzia dolosa dei governi di centro sinistra . Il permanere del conflitto di interessi viola il principio costituzionale della uguaglianza di tutti i cittadini nell’accesso alle cariche elettive : Camera, Senato, Regioni, provincie e comuni , stabilito dagli artt. 3 e 51 della Costituzione, perché democrazia vuol dire competizione alla pari tra i partecipanti alla contesa elettorale.
Ci sono giovani , donne e lavoratori che, per qualità e ingegno, potrebbero dare in Parlamento e nel Governo, un contributo fondamentale alla soluzione della crisi gravissima in cui versa il Paese, attuando il principio di eguaglianza nella sopportazione dei sacrifici. E, invece, essi sono emarginati perché nessuno conosce le loro capacità.
Il declino della democrazia italiana nel #principiodieguaglianza si verificò nel 1994 con la mancata applicazione della legge sulla ineleggibilità di un soggetto, titolare di più concessioni televisive. L’errore fu di ignorare, a dispetto dei richiami di talune delle coscienze più sensibili – come Paolo Sylos Labini, Giorgio Bocca , Vito Laterza e Giovanni Sartori – l’esistenza del decreto presidenziale 30 marzo 1957 n. 361 che all’articolo 10 contempla il caso di chi è titolare di una o più concessioni: “Non sono eleggibili coloro che in proprio o in qualità di rappresentanti legali di società o di imprese private, risultino vincolati con lo Stato per concessioni o autorizzazioni amministrative di notevole entità economica…”.
Il titolare effettivo delle concessioni , per eludere la legge, intestò a prestanomi di comodo le TV di sua proprietà che egli continuò però a gestire in proprio. Senonché quando il titolare di queste reti TV fu eletto in Parlamento, la Giunta delle Elezioni concluse per la sua eleggibilità, e, questo per volontà di Massimo D’Alema, il leader dell’allora Partito Democratico della Sinistra (P.D.S.).
Il professore Giovanni Sartori aveva ammonito, quando la giunta delle elezioni fu chiamata a decidere : << io mi rifiuto di giocare a scacchi contro qualcuno che ha due regine perché così lui vince sempre ed io perdo sempre >>.
E questo per la semplice ragione che il 75 % degli italiani forma il proprio convincimento in base alle notizie spesso distorte della TV e non in base al merito delle persone in competizione. Se questa regola della eguaglianza delle condizioni di partenza tra tutti i cittadini, i più abbienti e i meno abbienti, non è rispettata, c’è una minaccia continua per il sistema democratico. Eppure ci sono ancora coloro che sostengono che il problema del conflitto di interessi non riguarda il nostro Paese.
Ma in realtà il problema intacca la sopravvivenza della democrazia. Con un soggetto che in TV propone se stesso o i suoi sodali politici che condividono la sua strategia, il popolo elegge e premia chi si vede in TV e non le persone che purtroppo hanno minore visibilità.
Si tratta di una questione essenziale, cruciale per la democrazia, per evitare gli errori del passato, che va risolta alla radice, impedendo per il futuro il controllo e la gestione diretta o indiretta delle TV di chi siede in Parlamento, con una auspicata modifica della legge del 1957.
Occorre ribadire per legge che la ineleggibilità, cioè la impossibilità di essere eletti, vige anche nei confronti di coloro che esercitino la concessione delle TV in modo indiretto, cioè attraverso amici e parenti, e che quindi si pone, grazie al controllo dei mass media più potenti, in una posizione di esasperato vantaggio.
Il problema del conflitto di interessi comunque inquina molti altri settori della vita pubblica e privata. Il conflitto di interessi può definirsi come la situazione apparentemente “legale” in cui viene a trovarsi un governante , un amministratore , un banchiere, un politico o un giudice, che anziché salvaguardare l’interesse pubblico nella sua attività istituzionale, cura il suo interesse privato o quello di amici e prestanomi nei vari campi in cui opera. Il vantaggio può essere di natura politica o economica o professionale, in violazione del principio secondo cui ciascuno dovrebbe emergere per i propri meriti, e, non per sponsorizzazioni che esaltino virtù inesistenti. Esso contrasta inoltre con l’articolo 97 della Costituzione che impone alla Pubblica Amministrazione di rispettare i principi del buon andamento e dell’imparzialità nella gestione della cosa pubblica. Il conflitto d’interesse infrange codici deontologici. Ma spesso non comporta la trasgressione del codice penale, per cui riesce a dilagare impunemente.
Oggi il conflitto di interessi è divenuto anche il principale strumento di corruzione.
Il caso più clamoroso di conflitto di interessi conosciuto al pubblico, di natura politica, ha riguardato certamente l’ex Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Che quale imprenditore e amico di imprenditori, ha promosso o fatto sostenere leggi che favorivano a) i suoi interessi patrimoniali – vedi leggi sul falso in bilancio, sulla esportazione di capitali e sul condono agli evasori; gli interessi giudiziari propri e di amici , come la legge ex Cirielli ; ma, b) anche interessi politici, come le leggi che alterano la par condicio nell’uso dei mezzi di informazione, soprattutto TV pubbliche e private, condizione indispensabile per una corretta informazione.
A ricordare questa grave anomalia, unica nelle democrazie occidentali, fu la stampa europea di ogni colore: dal Times, simbolo dei conservatori inglesi, a Le Monde, l’Herald Tribune, El Pais, Der Spiegel non sospettabili di faziosità.
Il Financial Times parlò delle grandi infrastrutture tra cui la #TAV. A tutto questo occorre aggiungere un dato inquietante che riguarda il record che detiene l’Italia nelle violazioni di direttive europee in materia di appalti per le grandi opere pubbliche, che approfondiremo in seguito anche con lo sviluppo di alcuni rimedi già ritenuti idonei e formulati in questi ultimi anni dal Giudice Ferdinando Imposimato II , che presumibilmente potrebbero essere d’ausilio al Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede.
Anna Maria Giorgione



