Il giudizio universale

0
21

Il dibattito sulla gravidanza per conto terzi è per molti versi parte del più vasto dibattito proibizionismo/antiproibizionismo. Anche grazie alla decisione del governo (chiarificatrice in negativo) di dichiararla “reato universale”, ottima maniera per esplicitare un’ossessione ideologica, non certo una volontà di intelligenza della questione.

Se proibire ciò che non ci piace, o ci spaventa, o ci sorprende bastasse a sanare il mondo, il mondo sarebbe sanissimo. Eppure non lo è, nonostante abbondino leggi, precetti morali, tabù religiosi. Molte sono le cose che mi turbano, a cominciare dalla inaudita distanza tra chi ha tutto e chi niente, ma non mi sono mai illuso che “proibirlo” equivarrebbe a sciogliere il nodo. Se la destra (nel mondo) risale, e fagocita le moltitudini, è proprio perché alimenta l’illusione che esita una maniera spiccia per risolvere le cose complicate.

Dichiarare “reato universale” (come l’omicidio, come la rapina violenta, come lo stupro) una pratica che, comunque la si veda, genera vita, è una cosa insensata, e a suo modo anche feroce. Ma trova senso dentro una cultura che nella proibizione, nel divieto, nella negazione ottiene la sua massima realizzazione.

In breve, anzi in brevissimo: “reato universale” indica qualcosa di abominevole, di atrocemente iniquo. Come può esserlo la scelta di una donna, per bisogno o anche per libera volontà, di partorire per altri genitori? Se prezzolata (e non è sempre così), allora si dichiari reato universale la prostituzione. O si dichiari reato universale ogni forma di dipendenza economica.

(di Michele Serra – repubblica.it)