Legalmente impiegato in agricoltura intensiva in tutta l’Unione Europea e negli Stati Uniti, è presente nei campi, nei cibi, nell’acqua. E secondo il più grande studio tossicologico mai condotto, è cancerogeno anche alle dosi considerate sicure.
È quanto emerge dal Global Glyphosate Study, coordinato dall’Istituto Ramazzini e pubblicato sulla rivista scientifica Environmental Health. Lo studio dimostra che l’esposizione cronica al glifosato, anche ai livelli stabiliti come «non pericolosi» dai regolatori, provoca tumori in numerosi organi e porta a decessi precoci, in particolare per leucemia.
Anche a dosi considerate ‘accettabili’ il glifosato si è rivelato cancerogeno
La ricerca ha coinvolto oltre 1.000 ratti Sprague-Dawley, esposti al glifosato e a due formulazioni commerciali (Roundup Bioflow e RangerPro) a dosi di 0,5, 5 e 50 mg/kg al giorno per due anni, a partire dalla fase prenatale. I dosaggi non sono casuali: 0,5 mg/kg corrisponde alla dose giornaliera ammissibile (Dga) fissata dall’Ue; 50 mg/kg è il livello senza effetti avversi osservabili (Noale). In altre parole, si tratta delle soglie su cui si basa la nostra normativa. I risultati sono devastanti: aumento significativo di tumori multipli (leucemie, tumori epatici, tiroidei, al sistema nervoso, alle ovaie, alle ghiandole endocrine, alle ossa). Molti di questi tumori sono rari nei ratti utilizzati e ancora più significativi per questo. Il 40 per cento dei decessi per leucemia è avvenuto entro il primo anno di vita, un’età comparabile a 35-40 anni negli esseri umani. Il glifosato non solo provoca tumori, ma lo fa precocemente.
Secondo Daniele Mandrioli, direttore del Centro di ricerca Cesare Maltoni dell’Istituto Ramazzini, «l’insorgenza giovanile e la mortalità precoce per tumori maligni rari sono un segnale inequivocabile». Alcuni gruppi hanno registrato decessi medi a 62 settimane di vita, contro le 118 dei controlli. Leucemie e carcinomi epatici sono i più precoci. E ciò che rende ancora più allarmante il dato è che l’effetto è dose-dipendente, ma presente già al livello più basso, quello legalmente tollerato.
Lo studio ha incluso non solo la sostanza pure ma anche le sue formulazioni commerciali
Il glifosato testato in purezza è già cancerogeno. Ma lo studio ha incluso anche le formulazioni commerciali, quelle vendute nei supermercati e utilizzate nei campi. Roundup e RangerPro contengono coformulanti – surfattanti, adiuvanti – che amplificano la tossicità. Alcuni tumori, come i tricoepiteliomi o i carcinomi del rene, sono comparsi solo nei gruppi trattati con questi formulati, mai con il principio attivo puro. E mai nei controlli storici. Un dato che mina l’intera architettura delle autorizzazioni normative, basate quasi esclusivamente sulla tossicologia del solo glifosato.
Le agenzie europee e americane ignorano il rischio
Eppure, L’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) nel luglio 2023 ha dichiarato di «non aver individuato aree critiche di preoccupazione». La Commissione Europea ha rinnovato l’autorizzazione per altri 10 anni, fino al 2033. Il glifosato è stato difeso anche dall’Environmental Protection Agency americana (Epa), nonostante la Corte d’Appello del Nono Circuito abbia annullato la valutazione sanitaria dell’agenzia, ordinando una revisione. Bayer, che ha acquisito Monsanto, ha bollato lo studio del Ramazzini come «non affidabile», evitando qualsiasi replica sul merito e concentrandosi sugli attacchi all’istituto. La frattura è epistemologica. Lo studio Ramazzini è stato finanziato da 30 mila cittadini, condotto con protocolli trasparenti e con peer review. Le valutazioni dell’Efsa e dell’Epa si basano per lo più su studi inediti, finanziati dall’industria, condotti secondo linee guida Glp, e giudicano inaffidabili gli studi accademici. Il sistema normativo, a cui è demandata la protezione della salute pubblica, si fonda su evidenze prodotte da chi ha interesse a minimizzare i rischi.
Il ministro Lollobrigida ascolterà l’appello di Slow Food?
«Chiediamo al governo italiano e alla Commissione europea di vietare subito il glifosato», ha dichiarato Barbara Nappini, presidente di Slow Food Italia. È un appello che parte dai dati e approda al conflitto politico più aspro: quello tra diritto alla salute e interessi agroindustriali. Il glifosato continua a essere venduto, utilizzato, diffuso. Ma ora sappiamo che non esistono dosi sicure. Non è più una questione di probabilità. È una questione di responsabilità. Chissà che ne dice il ministro Lollobrigida.
Giulio Cavalli



