IL GOVERNO TAGLIA LE GOMME AL FONDO AUTOMOTIVE

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L’amara sorpresa nelle tabelle di accompagnamento al disegno di legge di stabilità e allo schema di bilancio annuale e pluriennale: il de-finanziamento ammonta addirittura a 4,6 miliardi, su un totale di 5,8 residui del plafond che era stato creato dal governo Draghi 

I fondi stornati a danno dell’industria automobilistica saranno riassegnati all’ambito della Difesa, con buona pace delle fonti governative che a più riprese avevano dichiarato che il contributo dell’Italia al guerra in Ucraina non avrebbe penalizzato gli interventi ordinari in altre materie di prioritario interesse dello Stato. Invece così non è

Il leader di Azione, senatore Carlo Calenda: l’industria delle quattro ruote sarà travolta a partire dal prossimo anno, dal Governo Meloni una decisione scellerata che conferma l’assenza di una politica manifatturiera

Meloni e Calenda in Parlamento 

Alla fine le gomme sono state tagliate: no, non si tratta di un atto vandalico. Semmai è una metafora per indicare che il fondo automotive, istituito da Mario Draghi, allora Premier, per rendere meno traumatica la transizione coatta verso l’elettrico, è stato quasi totalmente prosciugato, lasciando quasi vuoto il serbatoio della liquidità da cui attingere a sostegno anzitutto dell’indotto oramai orfano di “mamma Fiat”.

L’associazione di categoria Unrae – che riunisce in Italia i rappresentanti degli autoveicoli esteri – ha affidato a un comunicato stampa il proprio sconcerto: “Una decisione del genere contraddice clamorosamente non solo le dichiarazioni di intenti pronunciate dal Ministro Adolfo Urso in sede di Tavolo Automotive non più tardi del 7 agosto scorso, ma anche le numerosissime pronunce di attenzione al settore – da parte del Ministro stesso e di altri autorevoli esponenti governativi – dall’insediamento dell’attuale Esecutivo fino a pochi giorni fa”.

Proseguono da Unrae: “Il massiccio abbattimento delle risorse destinate all’automotive, fin dal 2022, minaccia gravemente gli sforzi finora profusi per raggiungere gli obiettivi e i target ambientali fissati a livello europeo. Questa scelta rischia di avere come unica conseguenza quella di arrestare immediatamente il processo di transizione verde, già in forte ritardo in Italia, rispetto ad altri mercati e ad altri Paesi produttori concorrenti, e di bloccare definitivamente il rinnovo di un parco circolante sempre più vetusto, insicuro e inquinante”.

Gli aiuti al contenimento dei costi produttivi necessari al buon fine di una svolta eco-industriale, sicuramente troppo improvvida da parte di Bruxelles, sono visti da sempre come un passaggio irrinunciabile per evitare i rischi di una deindustrializzazione strisciante già in pratica in atto: “La scelta di penalizzare il settore in modo così duro, risulta ancor più sproporzionata se si considera che i capitoli di spesa riservati ad altre categorie industriali vengono ridotti mediamente del 5 o del 10 per cento, mentre il Fondo automotive subisce un taglio dell’ottanta, con un disimpegno totale sia dal lato del sostegno alla domanda che di quello all’offerta”.

Quanto avvenuto confuta infine le garanzie che erano venute dallo stesso Ministro Urso, il quale si era impegnato sul piano dichiarativo a varare politiche di incentivazione in grado di premiare, se non più il lato della domanda (spesso orientata a premiare modelli costruiti all’estero), quello dell’offerta, ossia della capacità delle filiere locali di concepire e produrre i veicoli da commercializzare. Adesso entrambi i lati sono totalmente scoperti, e l’auto made in Italy si ritrova fuori strada e con le ruote all’aria.

John Elkann e Adolfo Urso 

Forse forse, in Parlamento, oltre a John Elkann, doverosamente, sarebbe il caso di “audire” in forma pubblica la premier Meloni e il suo fedelissimo Urso.

Dir politico Alessandro Zorgniotti