EFFETTO PAULI Ma andiamo per ordine. Pauli è uno dei padri della meccanica quantistica, noto agli studenti di liceo per il suo principio di esclusione, che gli valse il Nobel
Fin qui lo scienziato. L’uomo ha qualche problemino: una personalità complessa con difficoltà nei rapporti con le donne e tendenze depressive che cerca di combattere con l’alcool.
Dal 1930, su consiglio del padre, inizia un’analisi terapeutica con Carl G. Jung che durerà 4 anni, un rapporto che si prolungherà nel tempo segnando la vita dei due grandi studiosi. E veniamo all’”effetto Pauli”. Per spiegarlo in due parole, chi frequenta lo scienziato sostiene che porti male. Un vero jettatore evitato da tutti i colleghi fisici (che non erano Totò e Peppino) che raccontano toccando ferro le sue funeste gesta. Pauli si guadagna la fama di menagramo dopo una serie di sfortunati eventi che verificatisi a partire dal 1924. In particolare quando il fisico entra in un laboratorio, gli apparecchi si guastano o si rompono e gli esperimenti (spesso assai costosi) falliscono.
Quando nel 1950 al suo ingresso a Princeton si incendia il ciclotrone, anche i più scettici si arrendono all’evidenza: sì, Pauli emana energie negative. E lui cosa ne pensa? E’ il primo a credere ai suoi “poteri”. Racconta di percepire le sventure in anticipo avvertendo una spiacevole tensione che si risolve solo a disastro avvenuto. Questo è uno dei motivi per cui decide di far ricorso a Jung, che studiando il caso elaborerà il concetto di sincronicità. Proverbiale l’episodio del laboratorio di fisica a Gottinga. Dopo l’inspiegabile esplosione di un costoso strumento di misura il direttore dell’istituto dice scherzosamente ai presenti: “Se non sapessi che Pauli è lontano mille miglia, direi che c’è di mezzo lui”
. Solo dopo scoprirà che “Ira di Dio”, come lo avevano ribattezzato, in realtà era in viaggio in treno, e all’ora precisa dell’esplosione è sceso per 10 minuti nella vicina stazione di Gottinga in attesa della coincidenza.


