IL SORPASSO: IL KOLOSSAL DI RISI E QUELL’ITALIA TIMIDA E SPACCONA (E ATTUALE) DEL BOOM CHE FU

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Mi è capitato, ieri sera, di rivedere, su un noto canale social, per quanto con doppiaggio e titolo spagnoli (“La escapada”, cioè la fuga da una Roma afosa e deserta), il film kolossal di Dino Risi “Il sorpasso”

L’annata è il 1962, di quelle buone che restano impresse nelle memorie collettive e in quelle personali di padri e nonni, al pari di un vino scaturito da una generosa vendemmia – prima delle siccità che sarebbero seguite – e custodito nella teca di una fresca cantina da cui ogni tanto si estrae un sorso.
La versione a colori cerca di imprimere un tocco di contemporaneità a una pellicola che, tutta cromata come la carrozzeria di una vettura d’epoca, accresce la malinconia del tempo e del boom economico andato e, con essa, l’attualità dei vizi e delle virtù del mitologico “Italiano medio”, le sole doti capaci di resilienza (per utilizzare un termine oggi in voga più delle hit stagionali) oltre ogni scenario di crisi e di ripresa e oltre ogni passaggio storico vissuto dal Paese.

Il film narra il confronto fra due generazioni agli antipodi, riassunte da un quarantenne (nella pellicola così come all’anagrafe) Vittorio Gassman spaccone e millantatore esibizionista a bordo di un’iconica, potente e strombazzante Lancia Aurelia B24, simbolo di vacuità e potenza dell’Italia post bellica, e da un ventenne Jean Louis Trintignant emblema di quella gioventù nata sul finire della seconda guerra mondiale e che intende fondare le basi di una borghesia intellettuale consapevole dei propri limiti e capace di andare oltre le parvenze e i non rari eccessi materiali del ceto medio industrializzato.

Siamo in una fase antecedente le pulsioni egualitariste del 1968 e gli shock sociali ed energetici successivi alle stesse: il film viaggia, in ogni senso, sulla corsia di un “road movie” all’americana, ma nei canoni costanti di una commedia psicologica i cui tratti amari e riflessivi sembrano in ogni momento predisporre lo spettatore all’epilogo, inevitabile e tragico, della morte del personaggio interpretato da Trintignant, rimasto intrappolato nell’auto andata fuori strada dopo l’ennesimo tentativo di sorpasso ai 130 orari da parte di un Gassmann salvatosi solo perché sbalzato fuori prima del capitombolo nel burrone in mezzo ai bagnanti quasi indifferenti.

Un finale che lascia svanire con sé l’illusione di poter omologare, lungo i rettilinei della via Aurelia, due caratteri opposti e incapaci di complementarietà; illusione che per circa un paio d’ore, la durata del film, rimane anzitutto affidata al carattere cedevole del personaggio più giovane di fronte alla spavalderia dell’automobilista maturo solo per l’anagrafe, sebbene in alcuni passaggi vi siano dei tentativi maldestri del primo di omologarsi al secondo, soprattutto nel rapporto con l’altro sesso e con la vita mondana.

La conclusione del “Sorpasso” è quindi il preludio a quello che l’Italia del primo miracolo economico avrebbe lasciato in eredità: non solo infrastrutture materiali e bolidi coupé, ma un ceto economico politico capace di sopravvivere a se stesso eppure in grado di suscitare tuttora un forte effetto di nostalgia, a differenza di una classe intellettuale non messa nelle analoghe condizioni di emergere né di esprimere una diversa direzione di sviluppo e di crescita del Paese di cui vi sarebbe stato bisogno nei successivi drammatici anni Settanta.

A ben vedere, proprio per ciò il Sorpasso di Risi senior si caratterizza per una (in senso buono) prepotente attualità, nella quale i nodi della crisi e delle criticità odierne tornano al pettine di dilemmi lasciati irrisolti e tenuti nascosti sotto il tappeto di un crescente debito pubblico utilizzato anzitutto per le spese correnti. Queste ultime avevano il compito di omologare forzatamente generazioni e situazioni diverse e non altrimenti conciliabili, cosicché alla prima curva insidiosa il guidatore è uscito dall’abitacolo e i passeggeri ci sono rimasti.

Un film che pertanto, a partire dalla simbologia di una Capitale deserta e arida – quante similitudini con il nostro Parlamento chiuso per ferie fino a settembre, la sola istituzione ancora autorizzata a staccare per tutto il mese di agosto come se gli usi degli anni Sessanta e Ottanta non fossero mai venuti meno per il ceto alla Gassman – merita di essere rivisto e rivissuto a maggior ragione nella giornata odierna. E proprio per poter immaginare un finale in cui quel sorpasso fatidico smetta di essere fatale e metta in salvo tanto il guidatore incauto quanto i passeggeri malcapitati, consentendo però a questi ultimi, prima della fine della curva, di prendere in mano il volante della “vettura Paese”.

Buon ferragosto a tutte e tutti voi.

Dir politico Alessandro ZORGNIOTTI