Ilaria Tuti – Fiori sopra l’inferno – Milano, Longanesi, 2018, 366 p. (227)

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Tra boschi e pareti rocciose del Friuli un uomo uccide, cava gli occhi, toglie tratti di pelle, trincia il naso o le orecchie a modo di un serial killer, spargendo il panico e senza che nessuno riesca ad individuarlo e fermarlo. Pure, questo romanzo ve lo fa sentire “non colpevole”, ve lo fa quasi amare, man mano che la sessantenne Teresa Battaglia, solo apparentemente fragile, commissario diabetico grave, psicologo della polizia. specializzata in profiling, procede nelle difficili indagini.

Merito della sua creatrice, scrittrice capace di tenervi “legati” alla svolgimento della trama con continui e improvvisi colpi di scena, inusuali comportamenti che neppure l’esperienza e gli studi del commissario riescono ad inquadrare.

Non sarà con la divisa o con la sua presenza e nemmeno con la pistola che risolverà l’enigma che colpisce quella piccola comunità di montagna, Travenì, che si appresta a costruire una nuova pista da sci, ma con il pensiero, con la mente, opportunamente utilizzati nell’osservare i fatti e le circostanze, le uniche cose che contano. In particolare la indirizzerà nella giusta direzione d’indagine lo staging ovvero come l’omicida ha sistemato il primo cadavere ed i suoi indumenti montati su un palo a mo’ di spaventapasseri, con gli occhi mancanti, mai ritrovati, sostituiti da due bacche rosse. Pure l’autore di quei comportamenti efferati non si nasconde, spargendo il suo DNA a piene mani, dappertutto, impunemente, perché… se lo può permettere. Uno dei morti, Roberto Valent, è proprio l’ingegnere capo dei lavori per la nascente pista da sci, particolare importante per le indagini.

Interessante uno dei nuovi poliziotti, Massimo Marini, che coadiuva la Battaglia nel lavoro, fresco di laurea, inizialmente imbranato, disastroso al loro primo incontro – a lei piace continuamente stuzzicarlo, ma senza cattiveria – e successivamente dimostrando una mente acuta che sarà di grande aiuto al commissario.

Scavando nel passato si scopre “la scuola” – traccia fondamentale nelle indagini – che fu un particolare orfanotrofio, in cui tutto nacque ed ebbe inizio una ventina di anni prima; i ragazzi in esso ospitati non sono tutti uguali, ce n’è uno “speciale”: per scoprirne le caratteristiche è bene leggere il libro, altrimenti vi sveliamo tutto subito, ed è cosa non bella per un thriller! Vi diciamo però che la scuola fu fatta chiudere da una coraggiosa infermiera, Magdalena, ma solo quando “il dado era stato – ormai – tratto”.

Questo romanzo è il primo, d’esordio, per la Tuti, che vive a Gemona, in provincia di Udine – quindi ha ambientato i personaggi ed i fatti ad essi collegati in luoghi che conosce bene – e, pur vivendo in montagna, ama il mare; da giovane voleva fare la fotografa, mentre ha studiato economia. Paradossi solo apparenti che bene si inquadrano nella nota legge mai scritta del simil “contrappasso” dantesco, coniugata non ai peccati ma alla vita e che contrappone pulsioni interiori e necessità di inserimento lavorativo quotidiano e impegni di famiglia.

Per questa neo “signora in giallo” ci uniamo alle parole del Caffé letteario per concludere la presentazione: “Se son rose, fioriranno”.

Franco Cortese  Notizie in un click