Questo perché l’Ucraina esporta il 75% della sua produzione cerealicola, e circa 1/3 dell’esportato è destinato a Europa, Cina e Africa. Le principali destinazioni del grano ucraino sono l’Egitto, l’Indonesia, la Turchia e il Pakistan, mentre tra i Paesi più dipendenti – i quali già soffrono a causa di instabilità sociali, politiche ed economiche – figurano la Libia, il Libano, la Tunisia e lo Yemen.
Succede che a causa della guerra e della pressione russa sui confini ucraini siano rimasti lì bloccati milioni di tonnellate di grano. La Commissione europea infatti, proprio ieri, ha presentato iniziative per salvare l’export ucraino del cereale alla base della nostra alimentazione.
Mentre l’Europa sta pensando alla creazione di una piattaforma logistica per favorire la domanda e l’offerta di prodotti agricoli, in Africa si muore letteralmente di fame.
In Egitto la popolazione notoriamente dipende dal pane sovvenzionato per il proprio sostentamento, e già prima del conflitto il Paese era nel bel mezzo di una crisi dovuta agli alti livelli di inflazione alimentare.
È quindi facile capire che la congiuntura della guerra in Ucraina rappresenti per l’Egitto una ulteriore sfida: il governo di Al Sisi sta cercando di affrontarla ricorrendo a prestiti dagli Stati del Golfo, aumentando i tassi di interesse e svalutando la moneta. Ma si sa, più il conflitto si protrarrà, più la crisi aumenterà, scatenando il rischio di disordini sociali e instabilità politica. L’Egitto non è nuovo a questo tipo di scenario, legato ad esempio alla disponibilità di pane a basso costo, un’opportunità che bisogna interpretare come un vero e proprio contratto sociale tra istituzioni e cittadini. In sintesi, il pane sovvenzionato e la fornitura di beni e servizi da parte dello Stato rappresentano un termometro adatto a misurare la lealtà politica della popolazione, la loro mancanza o riduzione ha già portato a proteste di piazza e violenze.
Di Alessandra Ermellino



