INFLAZIONE, DAL DRENAGGIO FISCALE AL DRENAGGIO SOCIALE UN PASSO TROPPO BREVE

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La tassa odiosa di einaudiana memoria, se subito dopo lo shock pandemico ha contribuito a incrementare le entrate fiscali nominali e a ridurre di dieci punti percentuali il rapporto fra debito statale e prodotto interno lordo, con il protrarsi degli alti prezzi delle materie prime e dei generi di prima necessità sta terremotando lo status quo che si riteneva (erroneamente) acquisito da trent’anni a questa parte

Uno status quo fondato su inflazione programmata, contenimento dei salari ufficiali – come prezzo da pagare all’ingresso nell’area dell’euro da parte di un Paese a bassa produttività come l’Italia – e netta dipendenza del reddito nazionale dalle esportazioni.

Ebbene, tutta questa fragile equazione – che potremmo definire neo o post keynesiana – è saltata, e forse per sempre e, in maniera declaratoria e salutare, una volta per tutte.

Ad accorgersene è stato proprio il Governo Meloni, con il decreto che ha permesso di superare la legge Fornero stabilendo la fine del blocco della perequazione – ovvero la famosa indicizzazione degli assegni Inps al costo della vita reale – per i trattamenti previdenziali fino a quattro volte il minimo, e avviando un percorso, per quanto timido e graduale, di innalzamento della soglia delle pensioni integrate al minimo.

Il secondo step, o passo, verso tale consapevolezza, ha riguardato il rinnovo del contratto del settore del pubblico impiego statale dell’istruzione, che ha riconosciuto un aumento lordo mensile tra i 124 e i 190 euro, il cui conseguimento è stato sbandierato dai ministri Valditara (istruzione e merito) e Zangrillo (pubblica amministrazione).

Il terzo campanello, questa volta d’allarme, è infine risuonato nella scorsa settimana, quando lo sciopero generalizzato del personale aeroportuale ha causato, nel pieno di una stagione turistica dove l’Italia ripone importanti aspettative di ripresa e ripartenza, la cancellazione di oltre mille voli in un solo giorno e la vanificazione dei piani ferie per alcune decine di migliaia di famiglie: il motivo di fondo sta nel mancato rinnovo del contratto nazionale della categoria, scaduto da oltre 6 anni e sul quale il ministro dei trasporti e vicepremier leghista Matteo Salvini si è impegnato a trovare una mediazione fra le parti convocando tavoli a oltranza presso il dicastero di porta Pia. Eh sì che, fuori di metafora, una breccia andrebbe trovata!

Tutto questo per dire che sta accadendo un fenomeno forse sfuggito, più o meno involontariamente, ai più: l’inflazione bellica e post pandemica ha spedito un soffitta il modello concertativo che aveva sorretto le sorti del Paese dal famoso decreto Craxi (la famosa decurtazione di quattro punti della scala mobile che permise nell’immediato di recuperare salario reale e di ridurre il costo del servizio del debito pubblico) del 1984 fino al 2022, passando per gli accordi dei Governi Amato e Ciampi del 1993 con le parti sociali in tema di inflazione programmata.

Finora il governo Meloni ha agito si due fronti, paralleli ma convergenti: l’adeguamento delle pensioni medio piccole, che comporterà una spesa stimata in 50 miliardi di euro fino al 2025, e il consolidamento della riduzione temporanea del cuneo fiscale per i livelli retributivi più bassi: con l’obiettivo di sostenere i redditi senza demandare alle aziende i costi di tali misure.

Oramai però anche il sistema delle imprese ha ben chiaro che una tale via non potrà essere percorsa in maniera indefinita, senza un diretto apporto economico della parte datoriale, sulla cui agevolazione dal punto di vista fiscale è infatti in corso un dibattito in sede di disegno governativo di legge delega per la riforma dell’ordinamento tributario: dalla detassazione delle tredicesime a quella degli straordinari e dei premi di produttività – piuttosto che dei fringe benefit (cosiddetto salario non monetario), il sentiero è già segnato, e si tratta solo di determinare quante risorse fattibilmente potranno essere dedicate al fine di convergere su livelli retributivi dignitosi allineati alla media europea occidentale, a parità di qualifica e di apporto di produttività, per non dover più assistere al fenomeno della migrazione massiva dei giovani e anche degli adulti più qualificati verso l’estero.

Un dato di fatto è certo: per quanto l’inflazione da dipendenza delle materie prime – minerarie, energetiche e alimentari – potrà essere ridimensionata nelle sue componenti eccezionali, la sua componente “core” è destinata a rimanere strutturalmente alta ancora per molto tempo, e ciò imporrà alla futura Commissione Europea, il cui indirizzo politico potrebbe consistere in una inedita alleanza di centrodestra fra Popolari e Conservatori, di rivedere i propri rapporti con la BCE e con una politica di rigorismo monetarista non più tollerabile nella propria ostinazione a ricondurre l’inflazione tendenziale a un 2 per cento nel medio breve periodo, pena mutui sempre meno accessibili a famiglie e imprese e un costo più alto di mantenimento dei debiti pubblici.

Dir politico Alessandro ZORGNIOTTI