Inflazione USA ai massimi dal 1981

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Il tanto atteso dato sull’inflazione americana uscito in settimana ha nettamente sorpreso al rialzo, superando il 9% per la prima volta dal novembre del 1981

Anche il dato core ha superato le attese, pur scendendo rispetto al mese precedente.

I principali contributori sul mese di questa sorpresa negativa sono energia, alimentari e componente alloggi. In particolare, quest’ultima ha spinto la categoria servizi ai massimi da 31 anni. Se da un lato le categorie legate alle riaperture (tariffe aeree e ospitalità) sembrano essersi un po’ moderate, dall’altro i beni non paiono dare segni di rallentamento, nonostante l’aumento delle scorte.

Volendo però leggere il dato in maniera ottimistica, si può notare come questo sia in un certo senso “datato”: infatti analizzando le categorie più impattanti si osserva che molte di esse sono in procinto di invertire il trend rialzista, interrompendo il contributo negativo. Se prendiamo, per esempio, quella degli alloggi (assai stabile e meno volatile di altre) notiamo che molti indicatori stanno suggerendo una brusca inversione del mercato immobiliare: le scorte di case stanno salendo, le vendite scendono marcatamente (molti contratti stanno venendo cancellati), i prezzi di vendita vengono aggiustati al ribasso, e infine un enorme ammontare di cantieri sta arrivando alla conclusione.

Questa dinamica prima o poi filtrerà nel CPI concorrendo a un suo rallentamento naturale. Anche l’energia, (forte contributo a giugno alla luce del nuovo massimo del costo della benzina in US) sta vedendo un ridimensionamento in corso dei prezzi dei combustibili sulla scia dei timori di imminente recessione. Oltre all’energia anche altre materie prime, comprese quelle agricole, vedono un andamento molto simile, con i picchi di giugno lasciati abbondantemente alle spalle, spinte al ribasso da importanti drawdown.

Nonostante le difficoltà dell’individuazione di un picco sembra che molti fattori che hanno contribuito all’esplosione recente dell’inflazione negli USA stiano velocemente invertendo la loro direzione.

Unitamente ai timori di rallentamento economico (fattore che già da solo potrà avere ragione dell’inflazione), ciò si è riflesso in netti cali dei rendimenti sulle scadenze più lunghe (mentre la parte breve è sostenuta dalle previsioni di rialzo della Fed), con appiattimenti delle curve che hanno portato all’inversione di quella americana sia sul tratto 2-10 anni che sul 2-30 anni, inversione che spesso si è rivelata anticipatrice di una recessione.

Il risultato che il mercato sta interpretando è che la FED alzerà i tassi ancora per qualche mese, ma poi ricomincerà a tagliarli, anche rapidamente, per soccorrere il ciclo.