La Corte Suprema dà ragione a Donald Trump, autorizzando l’entrata in vigore in molte parti degli Stati Uniti, dell’ordine esecutivo con il quale il presidente ha messo fine al ‘birthright citizenship’, la cittadinanza per diritto di nascita.
La Corte ha votato 6-3, spaccandosi di fatto tra giudici conservatori e liberal-progressisti, e stabilendo che i giudici federali di grado inferiore non hanno il potere di bloccare a livello nazionale i provvedimenti esecutivi della Casa Bianca. Lo si legge in una sentenza di 119 pagine del massimo tribunale americano in cui sono spiegate oltre allo ius soli anche implicazioni più ampie.
Tuttavia i giudici della Corte non sono intervenuti sul merito di Costituzionalità, limitando le sentenze dei tribunali inferiori a bloccare l’ordinanza di Trump solo nei 22 stati a guida democratica, in attesa delle cause intentate contro il provvedimento presidenziale, ma la sentenza è destinata ad avere un forte impatto ampliando di fatto il potere esecutivo.
Ogni tribunale che finora ha affrontato direttamente la legalità dell’ordinanza di Trump l’ha ritenuta probabilmente incostituzionale. L’amministrazione si era rivolta alla Corte Suprema con procedura d’urgenza per limitare le ingiunzioni a livello nazionale emesse dai giudici federali di Greenbelt, nel Maryland, Seattle e Boston.
L’ordine esecutivo di Trump fu firmato il primo giorno del suo ritorno alla Casa Bianca. Nel dettaglio limita la cittadinanza per diritto di nascita per i bambini nati sul suolo statunitense se non hanno almeno un genitore con status legale permanente. Le ampie restrizioni sovvertono l’interpretazione convenzionale della clausola sulla cittadinanza del XIV emendamento, da tempo riconosciuta come soggetta a poche eccezioni.



