In ogni nome c’è infissa una tragedia, collettiva, gigantesca, fatta di numeri a cinque, sei zeri. Kibumba per esempio. O Kamyoruchinya. Chi ha mai sentito nominare Kibumba? Non riuscirete a trovarlo sulla carta geografica questo nome, non è nemmeno una cittadina o un villaggio. È più, è peggio: sono due dei campi profughi attorno a Goma, la più grande città del Kivu, nell’Est del Congo, che è appena caduta nelle mani dei ribelli del misterioso movimento M23; una finzione, una sigla vuota. In realtà l’hanno conquistata i soldati del vicino Ruanda. Qui la storia è un campo di rovine , in cui risuonano i lamenti senza nome degli individui in lacrime. Qui per tre milioni di persone in cui l’unico mestiere, progetto, identità è quello del profugo, soffrire è la prima e l’ultima pagina del mondo.
Un dolore esplicito, nudo, che non nasconde nulla, dolore senza scampo dove perfino un lago di zaffiro in cui si specchia, il lago Kivu, brilla solo come un astro morto. Non hanno diritto a essere singoli: l’ultimo oltraggio a cui li esponiamo, essere, collettivamente, in modo anonimo «il più grande disastro umanitario» del nostro tempo. L’ennesimo.
Vi annoiavano le guerricciole feroci, puzzolenti e inconcludenti dell’Africa ? Ora potete esser soddisfatti: ecco nel Paese che è tragicamente il più ricco e il più povero del mondo, una vera guerra tra nazioni, sì, di quelle vere come tra Russia e Ucraina. Il Ruanda ha invaso il Congo. A suo modo la storia evolve.
Goma ha un milione di abitanti, nei campi ne vivono, anzi ne sopravvivono altrettanti, affamati, con poca acqua potabile, senza medicine, nutriti da un impegno quasi missionario dalla carità internazionale, ogni notte le donne violentate, i figli portati via (Ah, li ritroveremo presto nelle armate dei soldati bambini). Li osservano con noncuranza, indolenti, i Caschi blu del contingente che è li da decenni, un monumento all’impotenza che fa urlare di rabbia. Il bianco immacolato dei loro automezzi non rispecchia il candore della anime di chi fa finta di dirigerli dietro i vetri del Palazzo di New York. Con quello che è stato speso per mantenerli si sarebbe offerto un diverso destino a tutta questa gente. Hanno visto arrivare la guerra, si sono fatti da parte: hanno avuto tre morti, un minuscolo incidente, il loro “ingaggio’’ non è sparare, difendere, difendersi, è osservare!
Domenico Quirico



