Mentre noi apriamo il rubinetto, un gesto quasi banale, la finanza globale scommette sul futuro della sete.
Dal 2020 l’acqua è quotata in Borsa: un bene essenziale per la vita, la cui crescente scarsità lo ha trasformato in un asset su cui investire, proprio come l’oro. Ma questa astratta realtà finanziaria si scontra con il dramma concreto e quotidiano di miliardi di persone.
A raccontarlo non sono proiezioni, ma i numeri del nuovo rapporto UNICEF/OMS “Progressi nell’accesso all’acqua potabile e ai servizi igienici nelle case 2000-2024”: sono 2,1 miliardi le persone che non possono bere da una fonte sicura; 3,4 miliardi quelle senza un bagno dignitoso; 1,7 miliardi coloro che non possono nemmeno lavarsi le mani in casa.
Lanciato durante la Settimana Mondiale dell’Acqua, il documento è un severo atto d’accusa: la promessa di garantire a tutti questi diritti entro il 2030 è pericolosamente fuori rotta.
Le vittime della disuguaglianza
Il rapporto evidenzia che la mancanza di accesso ai servizi essenziali non è casuale, ma segue precise linee di frattura sociale ed economica. Le persone che vivono in Paesi a basso reddito, in contesti fragili, nelle comunità rurali e le minoranze etniche sono quelle che subiscono le maggiori disparità. Un abitante di un Paese meno sviluppato ha una probabilità più che doppia di non disporre di acqua potabile di base e più che tripla di non avere accesso a strutture per l’igiene.


