1. “Sul mettere le mani avanti”. Attenzione, non è più sufficiente affidarsi alla premessa canonica (“esiste un aggressore, Putin, e un aggredito, il popolo ucraino”) se poi il successivo ragionamento andrà da tutt’altra parte (e abbiamo capito quale) poiché ci sarà sempre un custode dei valori dell’Occidente che subito ti sgama. Perciò, chiunque voglia surrettiziamente confondere le acque, o menare il can per l’aia con argomentazioni non previste dal catechismo Nato, potrà uscirne alla grande, per esempio con la proposta di consegnare il macellaio di Mosca alla Corte contro i crimini di guerra. Un’ iperbole che spiazzerà i vostri critici che non potranno che assentire.
3. “Sull’Ipse dixit”. Provare a esternare i propri dubbi attraverso le parole di un testimonial autorevole e insospettabile. Esemplare Michele Serra che su “Repubblica” cita Adriano Panatta (“Le persone non sono le Nazioni”) a proposito delle decisione di escludere i tennisti russi e bielorussi da Wimbledon. Funzionano anche Nicola Pietrangeli, Paolo Bertolucci e in generale i campioni dello sport (dove per vincere non serve portare il cervello all’ammasso).
4. “Sul sacrosanto diritto di esprimere il proprio pensiero senza doverne rendere conto a qualche occhiuto censore”. Per esempio, l’incipit di Paolo Rumiz su “Robinson”: “Scusate ma vorrei capire Putin. Forse entrerò in una lista di proscrizione: pazienza. Possibile che non ci si renda conto che capire l’avversario non significa giustificarlo, ma indovinarne in anticipo le mosse?”. E via a passo di carica fino a prendere di petto, in contrapposizione con la “narrazione monomaniaca del Cremlino”, l’autocensura della democrazia “tale da bollare come ‘russofilia’ qualsiasi tentativo di indagare un evento complesso di simile portata”. Ecco un modo colto, elegante e liberatorio di mandare a quel paese gli imbecilli.
Antonio Padellaro



