LA PACCHIA È FINITA? SÌ, PER I CREDITI D’IMPOSTA

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La riforma fiscale del Governo Meloni, in predicato di essere approvata prima della pausa estiva dal Parlamento come legge di delega al Consiglio dei Ministri a emanare più decreti legislativi, intende mandare in soffitta, una volta per tutte, le oltre 200 voci di riduzione dell’imposta a debito dei contribuenti soprattutto aziendali; e questo, con l’obiettivo di destinare i corrispondenti 66 miliardi, di minori o mancati introiti erariali ogni anno, verso due o tre grandi voci di agevolazione al massimo: la transizione industriale 4 e 5.0, la formazione continua, la riduzione del prelievo impositivo Ires dal 24 al 15 per cento in connessione con il reinvestimento aziendale degli utili e con le assunzioni stabili di personale addizionale

Il viceministro alle Finanze onorevole Maurizio Leo, pertanto, ha annunciato l’ingresso del disegno di legge in una fase di passaggio decisiva ai fini di quelli che saranno le successive procedure per osservare la tabella di marcia verso il traguardo del voto di Camera e Senato prima della pausa di Ferragosto, in maniera che le attività di decretazione possano essere avviate senza più esitazioni a partire da settembre e con un orizzonte di 24 mesi per dotare il nostro Paese di un nuovo e totalmente rinnovato ordinamento tributario, compresa la componente determinante della riscossione, entro il terzo trimestre del 2025.

I crediti d’imposta sono quelle misure di sconto e di abbattimento dell’onere dei debiti Irpef e Ires gravanti su famiglie, lavoratori autonomi e imprese, la cui progressiva sovrapposizione e stratificazione ha condotto non di rado a fenomeni elusivi e a modalità distorsive di applicazione del corrispondente tributo, con risultati talvolta non in linea con le originarie finalità della legge istitutiva.

La razionalizzazione della galassia delle deduzioni e detrazioni si è resa necessaria poiché all’atto pratico, ognuna di esse determina, oltre la norma legislativa iniziale, una sequenza di decreti governativi e ministeriali, circolari e atti direttoriali interpretativi della consistenza di molte decine di pagine, tali da causare il non pieno utilizzo di alcune di tali misure, così come una non efficiente allocazione delle risorse statali a causa dei troppi micro obiettivi da perseguire, poco incisivi rispetto a interventi che nei medesimi settori potrebbero essere attuati con maggiore efficacia creando una massa critica degli aiuti.

La riforma fiscale prevede un sistema di tipo sussidiario con una chiarezza verticale dei compiti tassativi e di eventuale incentivazione in capo ai differenti livelli di governo: mentre allo Stato centrale rimarrà la manovra relativa alle aliquote Ires, le Regioni potranno continuare ad agire con il meccanismo delle addizionali – con la potestà di applicare un prelievo aggiuntivo Ires in luogo dell’attuale Irap – e i Comuni avranno il controllo e il gettito totale della cosiddetta Imu sui capannoni.

Un quadro volto a semplificare in maniera molto sostanziale il sistema dei rapporti delle imprese e del mondo del lavoro con i centri di tassazione e di imposizione diretta. Come ha evidenziato il viceministro Leo, la tabella di marcia attuativa, fermo restando il punto di arrivo finale di settembre 2025, sarà predisposta “in progress”, tenendo conto di un cammino di avanzamento rispettoso delle coperture finanziarie che di volta in volta si renderanno disponibili in funzione dei livelli di crescita macro economica del prodotto interno lordo e della neutralità del gettito complessivo nell’ambito della strategia di spostamento da una tipologia di base imponibile all’altra.

La riforma fiscale svolge una funzione dirimente anche rispetto alla possibilità di attuare molti punti del Pnrr, connessi al ridisegno degli obiettivi e alla devoluzione di un certo quantitativo di fondi dagli attuatori pubblici a quelli privati, come appunto le imprese e le loro associazioni; oltre che nei confronti del perfezionamento della volontà di potenziali investitori esteri – basti pensare alla Intel, ma non solo – i quali attendono di comprendere gli sviluppi italiani prima di ufficializzare impegni a oggi soltanto teorici ma non ancora culminati in accordi di insediamento a differenza di quanto avvenuto in Germania e in Polonia, solo per restare in Europa.

La riforma del sistema tributario italiano può quindi imprimere una robusta sferzata in merito alle capacità di utilizzo delle risorse esistenti per la modernizzazione e l’innovazione dei processi e delle gamme di beni e servizi, in analogia a quanto richiesto altresì dai giovani di Confindustria e dal ministro delle imprese e del made in Italy Adolfo Urso: se le infrastrutture materiali richiedono tempi medio lunghi, quelle legislative possono essere instradate in tempi tutto sommato brevi e consentire a importanti finanziamenti di tornare a correre e di essere impiegati con gli stessi risultati di un Paese più competitivo dal punto di vista ecosistemico e capace di creare forti economie decentralizzate sul modello di un arcipelago.

Dir politico Alessandro ZORGNIOTTI