Di cosa vive la politica? Di uomini e donne che vi si dedicano con coraggio e competenza. E un tempo anche dei partiti. Luoghi in cui le classi dirigenti si formavano, e proposte di lungo respiro erano al centro di un lavoro di confronto senza l’assillo del consenso a tutti i costi, da incassare subito a discapito di scelte per il bene di tutti.
Il caso della Fondazione Open – nel cui merito non entro – riporta a galla un tema su cui la politica ha una grossa responsabilità: lo svuotamento della credibilità e del ruolo dei partiti. La loro delegittimazione è figlia di errori propri e di una politica che ha inseguito il sentimento popolare nato in un preciso periodo storico. Conseguenze: messa all’indice della loro funzione ed eliminazione del finanziamento pubblico. Risultato: la classe dirigente di oggi – salvo eccezioni ancora presenti – è in gran parte improvvisata, ossessionata dal fantasma della “casta” e del continuo taglio dei costi per il funzionamento della macchina pubblica.
Pochi si accorgono, purtroppo, che il male sta proprio qui: nell’auto-svilimento, in una demolizione dall’interno che danneggia innanzitutto i cittadini, cioè coloro che dalla politica dovrebbero essere rappresentati.
Vogliamo seriamente restituirle dignità? E convincerci che ogni cosa buona (anzi: nobile) ha un costo ed è giusto sostenerlo? In una intervista di oggi alla Stampa, Luciano Violante ricordava che nessun Paese europeo è senza finanziamento pubblico alla politica. E che nessuna organizzazione, nemmeno un condominio, può vivere senza risorse.
L’unica cosa da non fare è continuare a ignorare il problema. Ale Colucci Maurizio Lupi Matteo Forte


