l’aggressione ai diritti, e prova a costruire su questa tregua una stabilità istituzionale dopo mesi, anni, di inconsueta fragilità
La crisi era cominciata tre anni fa con la riforma delle pensioni voluta dal presidente Emmanuel Macron. E si conclude col suo temporaneo ghigliottinamento. Diciamo che la riforma è stata messa agli arresti domiciliari.
Ieri, 14 novembre, l’Assemblea nazionale francese ne ha infatti approvato la sospensione. La misura è stata votata nel pomeriggio di mercoledì con 255 voti favorevoli e 146 contrari, nell’ambito dell’esame del disegno di legge di bilancio della previdenza sociale.
La proposta, annunciata dal primo ministro Sébastien Lecornu, rappresenta una delle principali concessioni del governo, intenzionato a evitare una rottura con il Partito socialista e a scongiurare un possibile voto di sfiducia. La sospensione, che dovrà ora essere esaminata dal Senato (ma è una formalità), blocca l’aumento graduale dell’età pensionabile da 62 a 64 anni fino al gennaio 2028.
Di conseguenza, la generazione nata nel 1964 potrà andare in pensione a 62 anni e 9 mesi, come quella precedente, invece dei 63 anni previsti dalla riforma.
Il provvedimento è passato grazie al sostegno congiunto di socialisti, ecologisti e deputati del Rassemblement National, mentre i parlamentari del partito presidenziale Renaissance si sono astenuti.
Contro hanno votato La France Insoumise di Melenchon e i comunisti, che hanno definito la sospensione “un semplice rinvio” e non una vera abrogazione della riforma.


