La Rai della Maggioni e di Vespa al servizio del governo Meloni

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La Rai non è la Bbc, si diceva un tempo, ma dopo i guai del servizio pubblico britannico che ha sospeso Gary Lineker dal ruolo di conduttore sportivo per le sue critiche alle politiche immigratorie del governo, è la Bbc che si sta pericolosamente avvicinando alla Rai. E non è un complimento

Il Tg1 è completamente subalterno all’esecutivo e alla premier, cui regala spazi mai visti nella storia della testata, nemmeno quando con B. regnante il piffero lo suonavano Mimun o Minzolini. Da quando c’è Meloni, la Maggioni ha impresso una torsione al Tg da lei diretto formidabile. Le censure o l’alleggerimento delle notizie scomode per l’esecutivo ormai non si contano più. L’opposizione è miniaturizzata, costretta a poche frasette di circostanza offerte come contorno al piatto principale, che è il governo, il suo capo, i ministri.

Perché la direttrice del Tg1 faccia la partigiana davvero non si capisce: non è così sprovveduta da pensare che il nuovo potere la lascerà al Tg1 per i suoi buoni servigi, né per garantirsi un futuro ci sarebbe bisogno di tanto genuflettersi visto che è pur sempre una ex presidente. E qui torna l’eterno problema dell’autonomia della Rai, che nessuno, compresa la sinistra e i 5 Stelle, ha mai voluto affrontare.

Lo sappiamo, è tempo sprecato parlare di riforma, se pensiamo alle colpose assenze del passato dei vari Conte e Letta (di cui nemmeno la sorprendente Schlein pare turbata) e le tante inutili richieste sollevate negli anni anche su questo giornale. Eppure l’enormità di un sistema che vede: a) due soli player spartirsi i due terzi della emittenza; b) la destra disporre, per mezzo di un imprenditore politico, di una ventina di canali, di cui tre dei sette generalisti, è un triste primato mondiale, un vulnus per la democrazia che dovrebbe preoccupare sia la politica che la pubblica opinione.

Poi c’è Bruno Vespa. Che ha infeudato l’informazione della Rai dopo essere stato uno dei gli artefici del regime mediatico berlusconiano. L’indimenticabile Curzio Maltese lo definì “il prototipo dell’eterno cortigiano, il simbolo di quanto l’informazione in Italia sia schierata sempre con il più forte”: ma anche lui si sbagliava, perché Vespa sta da una parte sola, il suo editore di riferimento non è il giornalismo. Per lui la sinistra è sempre l’eterodossia, la critica eccessiva, il racconto non veritiero; la destra, specie quando al governo, l’ortodossia, il giusto, la voce della verità. Nelle prime due settimane di vita del suo Cinque Minuti ha ospitato di tutto, premier, ministro, giornalisti, padre Georg, guardiacoste, scienziati e star, meno che un esponente dell’opposizione.

Su Cutro egli ha imbastito un racconto schierato perinde ac cadaver a difesa del governo, nella sua ricostruzione le colpe sono tutte della “tragica virata sulla secca”, la giustificazione delle istituzioni è totale: il dubbio per Vespa non esiste, nemmeno come artificio retorico. Quando, approssimandosi le Europee di tanti anni fa, ospitò Berlusconi senza muovergli una obiezione una, e facendolo parlare per decine di minuti, il presidente di allora (Petruccioli, non un bolscevico) parlò di impudicizia, di catastrofe per la Rai, di ignominia per il giornalismo.

Sono passati quasi 20 anni, Santoro e Lerner sono fuori dal video, Biagi è morto, Floris ha dovuto cambiare tv, ma lui è sempre lì. Ecco: la nota positiva per l’informazione politica in Rai è Il Cavallo e la Torre. Damilano ha spiazzato tutti con un formato asciutto, quasi liturgico, poco più di dieci minuti senza applausi finti, compagnie di giro, urla da stadio, siparietti alla Corona; non solo, viaggia su ascolti sontuosi (venerdì 10 era sopra l’8%), spesso superando la pur brava Gruber. Dove il giornalismo c’è, anche il pubblico, vivaddio, se ne accorge.

GIANDOMENICO CRAPIS