La retorica del “non si trovano lavoratori”: semmai, non si trovano più schiavi

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È un refrain talmente diffuso da essere diventato ormai una sorta di filone narrativo a cui media, politica e associazioni datoriali si aggrappano disperatamente per evitare di guardare in faccia la realtà del mondo del lavoro italiano, che è andato a deteriorarsi nel corso degli ultimi vent’anni a causa, soprattutto, di due principali fattori: politiche del lavoro errate e una radicata mentalità che continua a considerare i lavoratori come un mero costo da comprimere il più possibile.

La situazione è oggettivamente disastrosa, senza usare troppi giri di parole, ma sembra non ci sia una vera consapevolezza di quanto sia pervasivo il fenomeno dello sfruttamento nel mondo del lavoro in Italia. Non solo lavoro nero e lavoro sommerso: gli abusi dovuti alla precarizzazione del lavoro in Italia sono di fatto sistematici e sistemici in ogni settore, nessuno escluso.

Con “Gli italiani non hanno voglia di lavorare. E hanno ragione” vorrei provare a tracciare un quadro del cosiddetto «stato dell’arte» per mostrare quali siano le condizioni di abuso più ricorrenti e come la cosiddetta «flexicurity» abbia portato, negli ultimi trent’anni, non certo a un miglioramento delle condizioni per i lavoratori italiani, ma anzi all’esatto opposto: perdita di diritti, di salari e di dignità professionale.

Il tutto in netto contrasto con quanto invece osserviamo nei Paesi UE con economia comparabile alla nostra. […] ho affrontato il tema con Domenico Tambasco, avvocato giuslavorista attivo nella difesa dei diritti dei lavoratori e specializzato nella prevenzione e nel contrasto delle condotte violente e moleste sul luogo di lavoro.

La situazione odierna è sostanzialmente frutto di un percorso iniziato ormai vari decenni fa, e che nessuno sembra aver intenzione di arrestare.

Nonostante le evidenze e l’oggettiva necessità di invertire la rotta, pare che per i governi che si stanno susseguendo il tema lavoro non sia esattamente una priorità: tutte le misure introdotte negli ultimi anni altro non sono che soluzioni-tampone, di fatto ben poco utili al miglioramento delle condizioni dei lavoratori di questo Paese.

«Con lo Statuto dei lavoratori e tutta una serie di norme a tutela del rapporto di lavoro, negli anni Settanta si era creata una legislazione quasi speciale nell’ordinamento italiano, volta a proteggere i lavoratori e a equilibrare gli innaturali e congeniti squilibri del rapporto di lavoro; in questi rapporti, infatti, c’è una parte “ontologicamente” forte, ossia il datore di lavoro, che detiene gli strumenti e i mezzi di produzione, e dall’altra parte c’è il lavoratore, che di fatto, come dice la parola stessa, è subordinato al volere e al potere del suo datore» prosegue l’avvocato Tambasco.

Le vittorie raggiunte grazie alle lotte dei lavoratori negli anni Settanta sono di fatto state smontate, pezzo per pezzo, da una serie di politiche introdotte a partire dalla fine degli anni Novanta: un esempio su tutti è il Pacchetto Treu, un insieme di norme introdotte dal governo Prodi nel 1997 allo scopo di «promuovere l’occupazione».

È la famigerata flexicurity, una politica attiva del lavoro che si basa su una strategia precisa: aumentare flessibilità e sicurezza sul mercato del lavoro grazie ad accordi contrattuali flessibili che rendono più semplice il licenziamento e l’assunzione, e politiche di welfare in grado di garantire un sostegno al reddito durante le transizioni occupazionali.

Qualcosa però sembra essere andato storto. E non esattamente in maniera imprevista.

Charlotte Matteini