La ristorazione dopo il coronavirus: parla Claudio Porchia Presidente Associazione Ristoranti della Tavolozza

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Una riflessione sui punti critici del settore in attesa della ripartenza.

Siamo in attesa di conoscere le linee guida che saranno richieste agli operatori per la riapertura della attività di ristorazione comprese bar e gelaterie. Chiediamo di illustrarci la situazione attuale al giornalista enogastronomo Claudio Porchia, che come presidente dell’associazione Ristoranti della tavolozza può seguire l’evoluzione del settore da un osservatorio particolare e privilegiato.

Risposta: Il trend dei sentimenti degli operatori in questi giorni passa velocemente dalla paura alla speranza, alternando momenti di fiducia ad altri intrisi di tristezza. La paura è presente non solo far chef e ristoratori, ma anche fra i clienti. Anche se i dati dell’evoluzione della crisi sono incoraggianti, la paura rimane ancora a livelli molto alti e le incertezze normative, fra le delibere regionali e comunali ed i provvedimenti del governo non aiutano. Per il settore del turismo e della ristorazione ci si deve preparare a puntare nel breve su clienti di prossimità, poi su turismo interno, le stime oggi indicano in un massimo di 400 km di distanza e il ritorno dei turisti stranieri sarà ancora più in là nel tempo, non prima della fine dell’anno. Molto dipende dall’evoluzione della crisi sanitaria e dai comportamenti dei paesi del nord Europa e per noi della vicina Francia. Il nostro vantaggio competitivo rispetto agli altri paesi stranieri non è solo il cibo, ma è la cultura del bere e del mangiare che è unica e che segna la differenza. Mentre nei supermercati dei paesi colpiti dal virus il primo prodotto a mancare dagli scaffali è stata la carta igienica, in Italia è sparita la farina ed i lieviti. Il cibo rimarrà anche dopo emergenza Covid, l’ambasciatore dell’Italia nel mondo ed è un punto fermo.

Quali le incognite sul futuro del settore?

La prima riguarda il ritardo nella definizione delle linee guida per la riapertura. Molti operatori le stanno aspettando per capire se e come potranno adeguarsi ai nuovi standard di sicurezza richiesti. Non è un aspetto secondario. Ma ci sono altri due elementi molti importanti e che oggi non conosciamo. Il primo è quanti consumatori, italiani e stranieri, saranno disponibili a tornare alle precedenti abitudini di spesa e soprattutto quanto reddito avranno a disposizione tenendo conto della crisi e della disoccupazione. La ristorazione, salvo isolate eccezioni, era già prima della crisi un settore economico a bassa marginalità, ora con l’aumento dei costi per adeguarsi ai protocolli sicurezza. È molto difficile immaginare che possa crescere. C’è ancora molta attesa per conoscere le linee guida, e per questo non credo sia importante oggi la discussione su quando si riaprirà, ma piuttosto sapere come si riaprirà. Fino alla fine dell’anno l’obiettivo per molte attività sarà la sopravvivenza, mantenere aperto, garantire i dipendenti e contenere le perdite.

Cosa ne pensi del food delivery?

Il food delivery, che preferire chiamarlo in italiano, consegna a domicilio, rappresenta una piccola novità che ha provocato un grande cambiamento. Il mercato era maturo e con la chiusura dei ristoranti si è immediatamente adattato, mentre molti ristoratori non erano pronti. La consegna a domicilio era già in leggera crescita prima ed è letteralmente esploso con la crisi insieme all’ e-commerce. Inoltre gli italiani hanno riscoperto la cucina casalinga, il caso della mancanza delle farine nei supermercati è indicativo di una abitudine familiare che si è modificata. Sostenibilità, genuinità, attenta ricerca delle materie prime e maggiore attenzione alla salute e alla igiene guidano oggi le scelte dei consumatori. Nella consegna a domicilio non si ordinano soltanto piatti pronti, ma anche piatti con prodotti semilavorati o menù la cui preparazione viene effettuata in casa seguendo le istruzioni e i consigli dello chef. Per questo motivo la consegna a domicilio ha incontrato l’interesse anche dei ristoranti stellati e alcuni operatori ipotizzano di offrire ai clienti non piatti finiti, ma prodotti semilavorati e materie prime. I clienti a casa potranno elaborare la ricetta seguendo fedelmente le istruzioni o ipotizzando anche delle variazioni. Una scelta che nella direzione di assecondare le nuove abitudini dei consumatori italiani che hanno riscoperto la cucina domestica con piatti elaborati e con la trasformazione delle materie prime, dal pane alla pizza. Con il servizio di asporto si completa l’offerta. Ma è chiaro a tutti che la consegna a domicilio e il servizio di asporto non porteranno guadagni, ma un contenimento dei costi, un aiuto a sopravvivere in attesa di tempi migliori e tenere vivo un rapporto con i clienti più affezionati. Per farli occorrono competenze e attrezzature diverse. Un packaging adeguato e personalizzato, attento alla sostenibilità ambientale e con qualche sorpresa per fidelizzare il cliente. Potrebbe forse anche affermarsi anche da noi il “subscription model”, una sorta di abbonamento che permette al sottoscrittore di avere con una certa periodicità piatti e prodotti alimentari, con la previsione di regali, sconti e altri meccanismi di fidelizzazione.

Christian Flammia